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XVIII LEG - Schema di D.Lgs. - Riforma dell'ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83, 85, lettere g), h) e r), della legge 23 giugno 2017, n. 103

aggiornamento: 29 ottobre 2018

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 27 settembre 2018

Esame preliminare - Consiglio dei ministri 22 febbraio 2018

Schema di decreto legislativo recante "Riforma dell'ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83, 85, lettere g), h) e r), della legge 23 giugno 2017, n. 103"

 

Relazione illustrativa

 

Indice

CAPO I - DISPOSIZIONI IN TEMA DI VITA PENITENZIARIA

Art. 1 - Modifiche alle norme sull'ordinamento penitenziario in tema di trattamento penitenziario

CAPO II - DISPOSIZIONI IN TEMA DI LAVORO PENITENZIARIO

Art. 2 - Modifiche alle norme sull'ordinamento penitenziario in tema di lavoro penitenziario
Art. 3 - Disposizione transitoria
Art. 4 - Disposizioni finanziarie
 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


VISTI gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;

VISTO l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

VISTA la legge 23 giugno 2017, n. 103, recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario, contenente la delega al Governo per la riforma dell’ordinamento penitenziario, e, in particolare l’articolo 1, commi 82, 83, 85, lettere g), h) e r);

VISTA la legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà;

VISTO il decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 444, recante attribuzioni degli organi centrali dell’Amministrazione penitenziaria e decentramento di attribuzioni ai provveditorati regionali dell’Amministrazione penitenziaria ed agli istituti e servizi penitenziari, a norma dell’art. 30, comma 4, lettere a) e b, della legge 15 dicembre 1990, n. 395;

VISTO il decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale;

VISTO il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183;

SENTITO il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale;

VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 22 febbraio 2018;

ACQUISITI i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

VISTA la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 27 settembre 2018;

SULLA PROPOSTA del Ministro della giustizia;

 
EMANA
il seguente decreto legislativo


CAPO I
DISPOSIZIONI IN TEMA DI VITA PENITENZIARIA
Art. 1
(Modifiche alle norme sull'ordinamento penitenziario in tema di trattamento penitenziario)

  1. Alla legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

a)    all’articolo 5 il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Gli edifici penitenziari devono essere dotati di locali per le esigenze di vita individuale e di locali per lo svolgimento di attività lavorative, formative e, ove possibile, culturali, sportive e religiose.»;
b)    l’articolo 6 è sostituito dal seguente:

ART. 6. Locali di soggiorno e di pernottamento. – 1. I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati per il tempo in cui le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia.
2. Le aree residenziali devono essere dotate di spazi comuni al fine di consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa della vita quotidiana nella sfera domestica.
3. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti.
4. Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti.
5. Fatta salva contraria prescrizione sanitaria e salvo che particolari situazioni dell’istituto non lo consentano, è preferibilmente consentito al condannato alla pena dell’ergastolo il pernottamento in camere a un posto, ove non richieda di essere assegnato a camere a più posti.
6. Alle stesse condizioni del comma 5, agli imputati è garantito il pernottamento in camera a un posto, salvo che particolari situazioni dell'istituto non lo consentano.   
7. Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto.»;

c)     all’articolo 8 il primo comma è sostituito dai seguenti:
«È assicurato ai detenuti e agli internati l'uso adeguato e sufficiente di servizi igienici e docce fornite di acqua calda, nonché di altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona.
Nelle camere di pernottamento i servizi igienici, adeguatamente areati, sono collocati in uno spazio separato, per garantire la riservatezza.».

     2. Per le finalità di cui al presente articolo è autorizzata la spesa di 2.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020.

 

CAPO II
DISPOSIZIONI IN TEMA DI LAVORO PENITENZIARIO
Art. 2
(Modifiche alle norme sull'ordinamento penitenziario in tema di lavoro penitenziario)

  1. Alla legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

a)    l’articolo 20 è sostituito dal seguente:

«ART. 20. Lavoro. – 1. Negli istituti penitenziari e nelle strutture ove siano eseguite misure privative della libertà devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere organizzati e gestiti, all’interno e all’esterno dell’istituto, lavorazioni e servizi attraverso l’impiego di prestazioni lavorative dei detenuti e degli internati. Possono, altresì, essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da enti pubblici o privati e corsi di formazione professionale organizzati e svolti da enti pubblici o privati.
2. Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato.
3. L'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale.
4. Presso ogni istituto penitenziario è istituita una commissione composta dal direttore o altro dirigente penitenziario delegato, dai responsabili dell’area sicurezza e dell’area giuridico-pedagogica, dal dirigente sanitario della struttura penitenziaria, da un funzionario dell’ufficio per l’esecuzione penale esterna, dal direttore del centro per l’impiego o da un suo delegato, da un rappresentante sindacale unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e un rappresentante unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello territoriale. Per ogni componente viene indicato un supplente. La commissione delibera a maggioranza dei presenti. Ai componenti della commissione non spetta la corresponsione di alcun compenso, gettoni di presenza, indennità, rimborsi spese e altri emolumenti comunque denominati.
5. La commissione di cui al comma 4, dandone adeguata pubblicità, provvede a:
a) formare due elenchi, uno generico e l’altro per qualifica, per l’assegnazione al lavoro dei detenuti e degli internati, tenendo conto esclusivamente dell’anzianità di disoccupazione maturata durante lo stato di detenzione e di internamento, dei carichi familiari e delle abilità lavorative possedute, e privilegiando, a parità di condizioni, i condannati, con esclusione dei detenuti e degli internati sottoposti al regime di sorveglianza particolare di cui all'articolo 14-bis;
b) individuare le attività lavorative o i posti di lavoro ai quali, per motivi di sicurezza, sono assegnati detenuti o internati, in deroga agli elenchi di cui alla lettera a);
c) stabilire criteri per l’avvicendamento nei posti di lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, nel rispetto delle direttive emanate dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
6. Alle riunioni della commissione partecipa, senza potere deliberativo, un rappresentante dei detenuti e degli internati.
7. Resta salvo il potere del direttore di derogare, per specifiche ragioni di sicurezza, ai criteri di assegnazione al lavoro di cui al comma 5, lettera a).
8. Gli organi centrali e territoriali dell’amministrazione penitenziaria stipulano apposite convenzioni di inserimento lavorativo con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a fornire opportunità di lavoro a detenuti o internati. Le convenzioni disciplinano l'oggetto e le condizioni di svolgimento dell'attività lavorativa, la formazione e il trattamento retributivo, senza oneri a carico della finanza pubblica. Le proposte di convenzione sono pubblicate a cura del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sul proprio sito istituzionale. I soggetti privati disponibili ad accettare le proposte di convenzione trasmettono al Dipartimento i relativi progetti di intervento unitamente al curriculum dell’ente. I progetti e i curriculum sono pubblicati a cura del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sul proprio sito istituzionale. Della convenzione stipulata è data adeguata pubblicità con le forme previste dal presente comma. Agli operatori privati, che agiscono per conto degli enti menzionati al primo periodo, si applica l’articolo 78.  
9. Le direzioni degli istituti penitenziari, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale e previa autorizzazione del Ministro della giustizia, possono vendere prodotti delle lavorazioni penitenziarie o rendere servizi attraverso l’impiego di prestazioni lavorative dei detenuti e degli internati a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per prodotti o servizi corrispondenti nella zona in cui è situato l'istituto.
10.  I proventi delle manifatture carcerarie e il corrispettivo dei servizi, prodotti o forniti dall’amministrazione penitenziaria impiegando l’attività lavorativa dei detenuti e degli internati, sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere annualmente riassegnati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, all’apposito capitolo del Ministero della giustizia, allo scopo di promozione e sviluppo della formazione professionale e del lavoro dei detenuti e degli internati.
11. I detenuti e gli internati, in considerazione delle loro attitudini, possono essere ammessi a esercitare, per proprio conto, attività artigianali, intellettuali o artistiche, nell’ambito del programma di trattamento.
12. I detenuti e gli internati possono essere ammessi a esercitare attività di produzione di beni da destinare all’autoconsumo, anche in alternativa alla normale attività lavorativa. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabilite le modalità di svolgimento dell’attività in autoconsumo, anche mediante l’uso di beni e servizi dell’amministrazione penitenziaria.
13. La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e sono garantiti il riposo festivo, il riposo annuale retribuito e la tutela assicurativa e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi di formazione professionale e svolgono i tirocini è garantita, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti.
14. Agli effetti della presente legge, per la costituzione e lo svolgimento di rapporti di lavoro nonché per l'assunzione della qualità di socio nelle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, non si applicano le incapacità derivanti da condanne penali o civili.
15. Entro il 31 marzo di ogni anno il Ministro della giustizia trasmette al Parlamento una analitica relazione circa lo stato di attuazione delle disposizioni di legge relative al lavoro dei detenuti nell'anno precedente.»;
b) all’articolo 20-bis, comma 2, le parole: «applicando, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’undicesimo comma dell’art. 20,» sono soppresse;

c) dopo l’articolo 20-bis è inserito il seguente:

«ART. 20-ter. Lavoro di pubblica utilità. – 1. I detenuti e gli internati possono chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’ambito di progetti di pubblica utilità, tenendo conto anche delle specifiche professionalità e attitudini lavorative.
2. La partecipazione ai progetti può consistere in attività da svolgersi a favore di amministrazioni dello Stato, regioni, province, comuni, comunità montane, unioni di comuni, aziende sanitarie locali, enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato, sulla base di apposite convenzioni stipulate ai sensi dell’articolo 47, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Le attività relative ai progetti possono svolgersi anche all’interno degli istituti penitenziari e non possono in alcun caso avere ad oggetto la gestione o l’esecuzione dei servizi d’istituto.
3. Le attività di cui al comma 2 possono essere organizzate dall’amministrazione penitenziaria anche affidando la direzione tecnica a persone estranee all’amministrazione, ai sensi dell’articolo 20-bis.
4. La partecipazione a progetti di pubblica utilità deve svolgersi con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dei condannati e degli internati.
5. Si applicano le disposizioni dell’articolo 21, comma 4, e, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, nonché quelle del decreto del Ministro della giustizia 26 marzo 2001.
6. I detenuti e gli internati per il delitto di cui all’articolo 416-bis del codice penale e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste non possono essere assegnati a prestare la propria attività all’esterno dell’istituto. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'articolo 15. Se si tratta di detenuti e internati per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis, diversi da quelli indicati al primo periodo, ai fini di cui all’articolo 21, comma 4, per l'assegnazione al lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno il magistrato di sorveglianza tiene prioritariamente conto delle esigenze di prevenire il pericolo di commissione di altri reati, della natura del reato commesso, della condotta tenuta, nonché del significativo rapporto tra la pena espiata e la pena residua.  
7. Il numero e la qualità dei progetti di pubblica utilità promossi dagli istituti penitenziari costituiscono titolo di priorità nell’assegnazione agli stessi dei fondi di cui all’articolo 2, comma 2, lettere a) e d), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 aprile 2017, n. 102, nei termini e secondo le modalità stabilite dalle apposite disposizioni di attuazione adottate dalla Cassa delle ammende.»;

d)    all’articolo 21, comma 4-bis, le parole: «la disposizione di cui al secondo periodo del comma sedicesimo dell’art. 20» sono sostituite dalle seguenti: «la disposizione di cui al secondo periodo del comma 13 dell’articolo 20»;

e)    all’articolo 21, comma 4-ter, sono soppressi il primo periodo e, al secondo periodo, la parola «inoltre»;

f)    l’articolo 22 è sostituito dal seguente: «ART. 22. Determinazione della remunerazione. 1. La remunerazione per ciascuna categoria di detenuti e internati che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria è stabilita, in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, in misura pari ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi.»;

g)    all’articolo 25-bis, comma 1, il secondo e il terzo periodo sono sostituiti dai seguenti: «Esse sono presiedute dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e sono composte dal dirigente del centro per la giustizia minorile, dal direttore dell’ufficio interdistrettuale dell’esecuzione penale esterna, dai rappresentanti, in sede locale, delle associazioni imprenditoriali e delle associazioni cooperative, dai rappresentanti della regione che operino nel settore del lavoro e della formazione professionale e da un rappresentante di ANPAL. Ai componenti delle commissioni, come sopra individuate, non spetta la corresponsione di alcun compenso, gettoni di presenza, indennità, rimborsi spese e altri emolumenti comunque denominati.»;

h)    dopo l’articolo 25-bis è inserito il seguente:
«ART. 25-ter. Assistenza per l’accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali. – 1. L’amministrazione penitenziaria è tenuta a rendere disponibile a favore dei detenuti e degli internati, anche attraverso apposite convenzioni non onerose con enti pubblici e privati, un servizio di assistenza all’espletamento delle pratiche per il conseguimento di prestazioni assistenziali e previdenziali e l’erogazione di servizi e misure di politica attiva del lavoro.»;

i)    all’articolo 46 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Coloro che hanno terminato l’espiazione della pena o che non sono più sottoposti a misura di sicurezza detentiva e che versano in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, accedono, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, all'assegno di ricollocazione di cui all’articolo 23 del citato decreto, se ne fanno richiesta nel termine di sei mesi dalla data della dimissione.»;

l)     all’articolo 74, quinto comma, il numero 3) è abrogato.

 2. Il Fondo di cui all’articolo 1, comma 312, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è integrato dell’importo di 3.000.000 di euro annui a decorrere dal 2020, anche per le finalità connesse alla copertura degli obblighi assicurativi contro le malattie e gli infortuni, in favore dei detenuti e degli internati impegnati in lavori di pubblica utilità ai sensi dell’articolo 20-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354

 3. All’articolo 6, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 444, le parole: «d’intesa con gli organi periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale» sono sostituite dalle seguenti: «d’intesa con ANPAL».

4. All’articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Tali comunicazioni sono effettuate anche nel caso di lavoratori detenuti o internati che prestano la loro attività all’interno degli istituti penitenziari alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o di altri enti, pubblici o privati.».


Art. 3
(Disposizione transitoria )

  1. Le disposizioni di cui agli articoli 6, comma 2, e 8, comma secondo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificate, rispettivamente, dall’articolo 1, comma 1, lettere b) e c), del presente decreto legislativo, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2021.


Art. 4
(Disposizioni finanziarie)

  1. Agli oneri derivanti dagli articoli 1 e 2, commi 1, lettera a), e 2, pari a complessivi euro 530.000 per l’anno 2018, ad euro 2.530.000 per l’anno 2019, a euro 5.530.000 per l’anno 2020 e ad euro 3.530.000 annui a decorrere dall’anno 2021, si provvede mediante riduzione del Fondo per l’attuazione della legge 23 giugno 2017, n. 103, di cui all’articolo 1, comma 475, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
  2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
  3. Dall’attuazione del presente decreto, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2, commi 1, lettera a), e 2, non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.


Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.     

 

Relazione illustrativa



Lo schema di decreto legislativo attua una parte della delega contenuta nella legge 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario”, nella parte relativa alle modifiche all’ordinamento penitenziario.

I contenuti normativi dello schema si avvalgono delle proposte elaborate dalle Commissioni ministeriali (costituite con decreto del Ministro della Giustizia in data 19 luglio 2017) coordinate dal prof. Glauco Giostra. In particolare, per le parti relative alla vita e al lavoro penitenziario, si è utilizzato il contributo della Commissione specificamente presieduta dal prof. Glauco Giostra, facendo tesoro delle indicazioni conclusive degli Stati generali sull’esecuzione penale, avviati dal Ministro della giustizia il 19 maggio 2015.

Lo schema concretizza le disposizioni dell’articolo 1, commi 82, 83 e 85 della legge di delega, con riguardo:
•    all’incremento delle opportunità di lavoro retribuito, sia intramurario sia esterno, nonché di attività di volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche attraverso il potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza esterna, aggiornando quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento (comma 85, lettera g), nonché alla maggiore valorizzazione del volontariato, sia all’interno del carcere sia in collaborazione con gli uffici di esecuzione penale esterna (comma 85, lettera h);
•    al miglioramento della vita carceraria, attraverso la previsione di norme volte al rispetto della dignità umana mediante la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna (comma 85, lettera r).

La riforma di questa parte dell’ordinamento penitenziario si è resa necessaria sia per rendere più attuale la disciplina in materia, attesa la risalenza nel tempo della stessa (legge 26 luglio 1975, n. 354), sia in virtù dell’esigenza di adeguarla agli innovativi orientamenti della giurisprudenza costituzionale, di legittimità, nonché delle Corti europee. Lo schema di decreto si compone di 4 articoli, suddivisi in 2 capi dedicati rispettivamente alla vita e al lavoro penitenziario.
 
DISPOSIZIONI IN TEMA DI VITA PENITENZIARIA

L’articolo 1 ha a oggetto la modifica di alcune disposizioni dell’ordinamento penitenziario nella prospettiva del rafforzamento dei diritti di detenuti e internati, alla stregua del criterio di delega di cui alla lettera r), che impone l’introduzione di norme “volte al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna, la sorveglianza dinamica”, (conformemente ai principi fondamentali delle Regole penitenziarie europee (Raccomandazione R (2006)2 del Consiglio di Europa).
Viene, in tal modo valorizzata la figura del detenuto come persona, posta al centro dell’esecuzione delle misure restrittive della libertà personale e titolare di tutti quei diritti il cui esercizio non sia strettamente incompatibile con la restrizione della libertà personale. La privazione della libertà non comporta, infatti, una capitis deminutio del ristretto, che perde solo quella parte di libertà che è strettamente connessa alla sua condizione detentiva, mantenendo intatte le altre sue libertà, con la conseguenza che l’identificazione della parte sacrificata può essere operata soltanto dalla legge.
Richiamando i concetti di ‘responsabilità’, ‘autonomia’, ‘socializzazione’ e ‘integrazione’, si caratterizza il trattamento verso modelli di partecipazione attiva e ‘responsabilizzante’ del detenuto a tutte quelle attività che favoriscono il suo processo di reintegrazione, da un lato, tramite l’abbandono definitivo dei processi di ‘infantilizzazione’ (che purtroppo ancora caratterizzano l’approccio trattamentale in ambito intramurario) e, dall’altro, mediante forme di integrazione tra ristretti (e tra gruppi) e forme di socializzazione (non imposta ma proposta) che possano favorirne il reinserimento.
Il detenuto deve essere invitato, anche attraverso una plurale e variegata offerta trattamentale, a condividere con gli altri gli spazi di socialità, le attività comuni, lo studio, il lavoro e anche lo svago, e deve poter organizzare la propria vita quotidiana in istituto con il massimo di autonomia consentita dal mantenimento della sicurezza, così da assicurare una vera integrazione sociale e culturale e, quindi, un effettivo recupero.
L’ordine interno e la garanzia dei diritti, per ultimo, rappresentano lo strumento finalizzato e subordinato alla realizzazione di un sistema che garantisca l’accesso dei detenuti e degli internati agli elementi del trattamento, indispensabili per l’accesso ai percorsi riabilitativi.
Le restrizioni dettate da ragioni di ordine non possono dunque determinare una compressione dei diritti superiore a quella strettamente necessaria.

L’intervento sull’articolo 5 ord. pen. Mira, in proposito, a rendere gli istituti penitenziari degli insediamenti integrati, nei quali si possano svolgere tutte le attività che caratterizzano la vita quotidiana all’esterno. In questa prospettiva, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza, si prevede che gli edifici siano dotati di locali per lo svolgimento di tutte le attività che integrano il trattamento, con l’obiettivo di rendere meno incisivo sul percorso di ricollocamento sociale dei detenuti il carattere separato degli stabilimenti.  L’innovazione è volta, inoltre, a realizzare il necessario coordinamento tra la presente disposizione e la norma – parimenti modificata - dell’articolo 18 in materia di colloqui familiari e di colloqui con i minori.

Con la novella dell’articolo 6 ord. pen. si introduce, quanto al riscaldamento dei locali, il riferimento al "tempo in cui" esso sia necessario, in luogo dell’attuale dizione ("ove le condizioni climatiche lo esigano"), allo scopo di precisare che l'adozione di opportuni accorgimenti nelle camere detentive deve riguardare tutti gli istituti penitenziari, prescindendo dalla loro collocazione geografica, affinché il riscaldamento possa essere attivato sempre secondo il bisogno. La modifica in ordine agli ‘spazi comuni’ è volta ad articolare le aree residenziali preferibilmente in gruppi-appartamento destinati a 6-8 persone che possano organizzarsi autonomamente non solo nella pulizia degli ambienti, ma anche nel lavaggio/stiratura dei propri abiti, nella preparazione della cena e nell’impiego comune del tempo libero serale, e cioè nella loro più piena dimensione ‘domestica’.
Si precisa che, di norma, ogni detenuto deve essere alloggiato durante la notte in una camera singola (par. 18.5 Regole penitenziarie europee) e che gli imputati per quanto possibile devono disporre di una camera singola anche di giorno (par. 96 reg. penit. cit.). Per quanto, poi, concerne i condannati alla pena dell’ergastolo, si prescrive che siano collocati preferibilmente – nell’istituto di assegnazione definitiva - in una camera singola, salvo che chiedano espressamente di condividerla con altri detenuti e salva contraria indicazione medica (ad es., per prevenire il rischio suicidario). Si recupera così coerenza tra le norme di ordinamento penitenziario e l’articolo 22 del codice penale, che prevede l’isolamento ‘notturno’ quale modalità esecutiva della pena dell’ergastolo, e si assicura al contempo una tendenziale ‘umanizzazione’ della pena massima, maggiormente corrispondente al principio costituzionale. Si sono accolte sul punto le osservazioni di cui ai pareri delle Commissioni parlamentari competenti.
Con la previsione di cui al comma 6 si lascia tendenzialmente all’imputato di optare liberamente per la collocazione in una cella collettiva a cui comunque deve essere destinato quando, per ragioni sanitarie, non possa essergli garantita la camera individuale, ferme restando le particolari situazioni dell'istituto tali da derogare a detto princìpio.
La novella dell’articolo 8 ord. pen. intende eliminare dagli istituti italiani i servizi igienici cd ‘a vista’ – secondo i dati del DAP vi sono a tutt’oggi 1.065 detenuti ancora allocati in 1.776 camere con bagni a vista –, a tutela di evidenti esigenze di riservatezza direttamente incidenti sulla dignità del detenuto. Per le stesse ragioni è opportuno collocare, a livello di fonte primaria, la prescrizione che, quantomeno le docce, siano dotate sempre di acqua calda. Mediante apposita previsione di una norma transitoria (articolo 4 dello schema), al fine di consentire gli opportuni interventi di edilizia penitenziaria la previsione acquisterà efficacia a far data dal 31 dicembre 2021. In questo senso si è inteso dare risposta al parere delle Commissioni competenti che, per ragioni essenzialmente di ordine finanziario e di materiale praticabilità ha proposto l’espunzione della previsione in esame.

Aderendo alle osservazioni delle Commissioni competenti è stato eliminato ogni intervento sugli articoli 12 e 26 della legge di ordinamento penitenziario, per ragioni eminentemente collegate alle condizioni materiali degli istituti penitenziari. La materia tuttavia, anche in punto di libertà di culto, resta regolata dalle disposizioni vigenti anche di natura regolamentare.

DISPOSIZIONI IN TEMA DI LAVORO PENITENZIARIO

L’articolo 2 apporta numerose modifiche agli articoli da 20 a 25-bis dell’ordinamento penitenziario, relativi al fondamentale tema del lavoro.

Con riguardo all’articolo 20 ord. pen., anzitutto, si inserisce nel primo periodo del primo comma l’inciso «e nelle strutture ove siano eseguite misure privative della libertà», mediante la quale – considerato che le REMS non sono propriamente riconducibili alla categoria degli ‘istituti penitenziari’ – si chiarisce che anche le persone ospitate da tali strutture, alle quali del resto si applica l’ordinamento penitenziario, è riconosciuta la possibilità di fruire dell’elemento trattamentale del lavoro.
La previsione del secondo periodo del primo comma è, invece, volta a specificare che l’amministrazione penitenziaria può organizzare e gestire attività di produzione di beni o servizi, sia all’interno che all’esterno dell’istituto, così come potrebbe avvenire, ad esempio, se essa vincesse un appalto pubblico per la manutenzione del verde comunale o per la sistemazione dell’archivio di un ufficio giudiziario.
Oltre a questo chiarimento, la disposizione opera piccole modifiche per aggiornare il testo. Viene eliminata la previsione, contenuta nell’attuale terzo comma, del lavoro come «obbligo», atteso che la previsione di un tale obbligo stride con il principio del libero consenso al trattamento penitenziario; principio che si fonda, tra l’altro, sull’ovvia considerazione che le chances di successo del percorso di reinserimento dipendono dalla volontà del condannato. Correlativamente è eliminato il quarto comma.
Si riconfigura la commissione costituita presso ogni istituto penitenziario per la formazione delle graduatorie di avvio al lavoro, prevedendo che ne facciano parte il direttore, o altro dirigente delegato, i responsabili dell’area sicurezza e dell’area giuridico-pedagogica, il dirigente sanitario - la cui presenza è utile nel caso di detenuti o internati con problemi di salute o disabilità - un funzionario dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna, il direttore del centro per l’impiego territorialmente competente o da un suo delegato - per agganciare l’attività anche al mercato del lavoro esterno –, indicandosi per ogni componente un supplente. La regola della delibera a maggioranza dei presenti conferisce maggiore agilità al funzionamento dell’organo collegiale.
La commissione provvede, anzitutto, alla redazione dei criteri di formazione degli elenchi per l’assegnazione al lavoro dei detenuti e degli internati. La commissione effettua una valutazione numerica e parametrale dei predetti criteri, tenendo conto delle risultanze del foglio elettronico del detenuto (cd. F.E.D.), in modo da esaltare il bagaglio esperienziale di ognuno, innescando anche dinamiche positive e competitive: ogni detenuto è incentivato a “mantenere” la propria occupabilità, per aspirare ad una posizione migliore in elenco (dunque più formazione, più istruzione, più informazioni sul proprio passato lavorativo).
Considerato, poi, che il sistema carcerario non è in grado di garantire la ‘piena occupazione’, alla commissione è demandato anche il compito di fissare i criteri di avvicendamento nei posti di lavoro, affinché il maggior numero possibile di detenuti e internati possa beneficiare dell’opportunità rieducativa offerta dal lavoro. La disposizione, dunque, traduce in norma positiva - e assicura trasparenza – alla pratica della ‘rotazione’ nei posti di lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.
Al fine di garantire la trasparenza delle scelte della commissione, se ne prevede un’adeguata pubblicità, con modalità da individuarsi da parte dell’amministrazione penitenziaria.
Si chiarisce poi che, nell’assegnazione al lavoro del singolo detenuto o internato, si devono comunque tenere in considerazione le specifiche ragioni di sicurezza.  
Un intervento è, poi, operato sul testo del vigente comma 13 per una precisazione lessicale circa le articolazioni, centrali e periferiche, dell’amministrazione penitenziaria che possono stipulare convenzioni ai fini dell’avviamento al lavoro dei detenuti.
Si modifica, inoltre, l’attuale comma 14, e se ne aggiunge uno immediatamente successivo, per garantire maggiori risorse da destinare al lavoro e alla formazione dei detenuti e degli internati. Si prevede che anche gli introiti delle lavorazioni penitenziarie relative alla prestazione di servizi siano versati al bilancio dello Stato ai fini della successiva riassegnazione in apposito capitolo del Ministero della giustizia, allo scopo di finanziare la promozione e lo sviluppo della formazione professionale e del lavoro dei detenuti. La norma va letta in stretta connessione con l’abrogazione del n.3) dell’articolo 74 ord. pen., recata dalla lettera l) dell’articolo 2 dello schema, riferibile ai proventi delle manifatture carcerarie, destinati, così come gli introiti delle lavorazioni penitenziarie, allo scopo di promozione e sviluppo della formazione professionale e del lavoro dei detenuti e degli internati.
Già oggi l’articolo 20 ord. pen. prevede la possibilità di vendere, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale, i prodotti delle lavorazioni penitenziarie.
Ora si aggiunge che la commercializzazione può avere ad oggetto anche la prestazione di servizi e che le somme ricavate sono versate su apposito capitolo del Ministero della giustizia.
La novella dell’attuale comma 15 trova ragione nella soppressione dell’obbligo di lavoro di cui al previgente terzo comma, rispetto al quale soltanto si giustificava la previsione permissiva.
La riscrittura del comma 16 è finalizzata a promuovere l’attività lavorativa orientata al cd. ‘autoconsumo’. Si tratta di una fattispecie non nuova nell’ordinamento giuridico, che potrebbe risultare di qualche impatto, considerati gli spazi agricoli a disposizione dell’amministrazione penitenziaria, che potrebbero essere utilizzati dai detenuti e dagli internati per produrre generi alimentari da destinare al proprio consumo o alla vendita, anche negli spacci aziendali dell’amministrazione penitenziaria. Indispensabile è lo strumento della decretazione interministeriale per la redazione della disciplina di dettaglio.
In adesione a espressa analoga condizione posta sia dalla Commissione Giustizia del Senato che della Camera dei Deputati (condizione 1) sono previste espressamente al comma 8 del novellato articolo 20 della legge di ordinamento penitenziario, forme di pubblicità riguardanti le convenzioni stipulate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria con enti privati e cooperative sociali. È analogamente stesso il controllo già stabilito dall’art.78 o.p. sulle persone fisiche che per conto di detti enti hanno rapporti con la popolazione detenuta.  

L’articolo 2 apporta, quindi, una modifica all’attuale articolo 20-bis ord. pen., in particolare al comma 2, ove elimina l’espressione, non più in linea con la riscrittura dell’articolo 20, in forza della quale l’amministrazione promuove la vendita dei beni prodotti dalle lavorazioni penitenziarie “applicando, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al comma 11 dell’articolo 20”.

Lo stesso articolo 2 aggiunge, poi, un nuovo articolo, l’articolo 20-ter ord. pen., dedicato al lavoro di pubblica utilità.
La novella muove dalla premessa che il lavoro penitenziario, pur essendo elemento principale del trattamento, soffre di un cronico problema di effettività, determinato principalmente dallo scarso sviluppo del mercato del lavoro penitenziario, sia in termini di numero di posti lavorativi che di qualità dell’offerta.
Tale deficit è riconducibile a molteplici fattori, tra i quali spiccano ragioni di bilancio e l’insufficienza di fondi, invece indispensabili per far fronte sia ai costi di organizzazione e gestione, sia a quelli legati alla retribuzione e contribuzione dell’attività lavorativa dei detenuti.
Le strategie fino ad oggi messe in campo per potenziare l’istituto (principalmente la previsione del libero accesso dell’impresa privata e la parziale fiscalizzazione del costo del lavoro) si sono rivelate insufficienti.
D’altro canto, il lavoro penitenziario non può avere tutele inferiori rispetto al lavoro del mondo libero, e deve essere retribuito, ancorché secondo standard quantitativi differenziati.
Per assicurare all’elemento del lavoro di svolgere quel ruolo importante che le norme gli assegnano nell’ambito del trattamento rieducativo, e per consentire all’amministrazione penitenziaria di adempiere al compito di offrire opportunità di occupazione, si valorizza il lavoro di pubblica utilità.
Quest’istituto – pur se dal 2013 previsto quale modalità di trattamento penitenziario (articolo 21, comma 4-ter, ord. pen. introdotto dal d.l. n. 78 del 2013) – ha fatto registrare finora una scarsa attuazione pratica.
Il problema del resto affligge tutte le figure di public work contemplate - da un numero sempre maggiore di previsioni - nel nostro ordinamento. Se, infatti, il lavoro di pubblica utilità è sempre più presente nel nostro sistema penale (si pensi alle figure connesse alle violazioni del codice stradale, al testo unico sugli stupefacenti, alla messa alla prova degli adulti, alla sospensione condizionale), esso continua ad essere generalmente poco praticato. Le scarse applicazioni non avvengono, peraltro, in chiave trattamentale (il 93% dei lavori di pubblica utilità viene svolto a titolo di sanzione accessoria per reati ‘stradali’ ex articolo 224-bis d.lgs. n. 285/1992, secondo dati D.A.P. aggiornati al 30 giugno 2017).
Un’attività svolta nell’interesse della collettività risulta particolarmente adatta a soddisfare le esigenze connesse al lavoro penitenziario come strumento di risocializzazione, per l’alto valore ricollegabile all’impegno assunto e perseguito dal recluso partecipando a iniziative (per lui stesso non remunerative ma) vantaggiose per i consociati.
Sotto un diverso profilo, le potenzialità dei progetti di pubblica utilità meritano di essere sfruttate per integrare l’offerta avente ad oggetto il lavoro in senso ‘proprio’.
Ed infatti, sebbene al lavoro in senso tecnico (caratterizzato nel modo più simile possibile a quello del mondo libero) vada riconosciuta centralità nel trattamento risocializzativo, bisogna considerare che questo tipo di offerta occupazionale – legata ad attività di impresa in senso tradizionale e a logiche produttive – difficilmente può raggiungere soglie ottimali in rapporto alla platea dei detenuti: pesano negativamente, da un lato, le caratteristiche della popolazione detenuta (il diffuso disagio, l’alta morbilità, la bassissima professionalità) e, dall’altro, le particolarità della condizione carceraria, legata ai ritmi, ai tempi e agli spazi della detenzione.
L’organizzazione di progetti di pubblica utilità, sganciati da logiche tipiche di produzione, può rappresentare una valida integrazione dell’offerta trattamentale costituita dal lavoro in senso ‘tecnico’, al fine di garantire al più alto numero possibile di detenuti la possibilità di occupazioni che hanno comunque un’alta valenza risocializzante.
Le ragioni principali dello scarso successo del cd. ‘lavoro di pubblica utilità’ nelle sue varie declinazioni sono da individuarsi nella complessità della sua organizzazione (seppur dovuta a motivi parzialmente diversi rispetto a quella registrata per il lavoro tradizionale): necessità di competenze non facilmente reperibili, del coinvolgimento di molteplici soggetti, pubblici e privati, tra le altre. Queste ragioni sono aggravate da una disciplina normativa povera ed asfittica.
Nell’articolo 20-ter la disciplina dei progetti di pubblica utilità viene perciò riscritta:  
i) dettando una regolamentazione compiuta, rispetto a quella vigente;
ii) sganciandone l’operatività dall’ambito del lavoro esterno – nel quale è oggi attualmente inscritta – e facendone una declinazione del lavoro penitenziario tout court (esterno o intramurario);
iii) configurando il coinvolgimento dei detenuti nel progetto di pubblica utilità non soltanto come espletamento di attività, ma anche come contributo ideativo, progettuale e organizzativo: si parla - non a caso - di “partecipazione a progetti di pubblica utilità”.
Si pensi alla possibilità di organizzare, anche intra moenia, attività a servizio di enti o istituzioni pubbliche o di soggetti privati che svolgono servizi di pubblica utilità o di pubblico interesse (assistenza a disabili o a soggetti deboli, centri antiviolenza, case famiglia, organizzazioni del cd. ‘quarto settore’), attività di call center, di archiviazione digitale di dati, di digitalizzazione e dematerializzazione di documentazioni ed atti amministrativi.
L’intervento di valorizzazione del lavoro di pubblica utilità dei detenuti e internati si collega alla previsione della legge di stabilità per il 2016 - art. 1, comma 312 ss., l. n. 208 del 2015 -, confermata anche per il 2017, che prevede un Fondo per il pagamento del premio di assicurazione obbligatoria contro infortuni e malattie anche per i detenuti e gli internati occupati nelle attività di cui all’attuale articolo 21, comma 4-ter, ord. pen.: come è noto, i volontari, in generale, devono essere assicurati per la responsabilità civile verso terzi e per gli infortuni e le malattie.
Rispetto ai contenuti attuali delle attività contemplate dall’articolo 21, comma 4-ter, ord. pen. si è ritenuto di non riprodurre il lavoro a sostegno delle vittime e delle loro famiglie, in quanto la premialità ricollegata alla partecipazione a progetti di pubblica utilità striderebbe col particolare significato che il lavoro per la vittima riveste nel trattamento rieducativo, e che rende opportuno collocare quest’ultimo nell’ambito delle pratiche di giustizia riparativa, alle quali del resto esso tipicamente appartiene.
I progetti di pubblica utilità disciplinati dall’articolo 20-ter hanno configurazioni e spazi operativi sensibilmente più ampi di quelli attualmente contemplati dal comma 4-ter dell’articolo 21 ord. pen., che è, pertanto, soppresso, limitatamente al primo periodo.
Essi infatti:
a) possono essere svolti anche all’interno del carcere, e dunque essere destinati anche ai detenuti e gli internati che non posseggono i requisiti previsti per essere ammessi al lavoro all’esterno ex articolo 21 ord. pen.;
b) possono essere gestiti anche dall’amministrazione penitenziaria, direttamente attraverso convenzioni con soggetti terzi.
Al fine di incentivare la promozione e lo sviluppo da parte degli istituti penitenziari di progetti di pubblica utilità la disposizione del settimo comma istituisce un meccanismo premiale nell’accesso ai fondi che la cassa delle ammende destina ai progetti di formazione, inclusione lavorativa e promozione dei progetti di pubblica utilità. Tale meccanismo prevede che la cassa delle ammende adotti criteri generali di valutazione del numero e della qualità dei progetti promossi da ciascun istituto e delle modalità di loro valorizzazione e che in applicazione di tali criteri stabilisca titoli di priorità nella distribuzione dei fondi tra i vari istituti.
Con riguardo alla possibilità di svolgere il lavoro di pubblica utilità all’esterno si è inteso aderire sostanzialmente alle condizioni poste da entrambe le Commissioni parlamentari competenti, rispettivamente condizione b) della Commissione Giustizia della Camera e condizione 2) della Commissione Giustizia del Senato. Occorre rilevare che in entrambi i pareri si muove dall’assunto che «l'articolo 2, comma 1, lettera c), introduce nell'ordinamento penitenziario un nuovo articolo (articolo 20-ter) relativo al lavoro di pubblica utilità, sganciandone l'operatività dal lavoro esterno e quindi prevedendolo anche all'interno del carcere». Se ne trae la conseguenza che «il lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno del carcere andrebbe quindi assoggettato alle limitazioni soggettive previste al comma 1 dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario in materia di lavoro all'esterno, per cui, nei casi di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis, l'assegnazione al lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni; nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni».
A ben vedere il lavoro esterno, da originaria modalità esecutiva della pena ha assunto la natura di misura alternativa, non dissimile dalla semilibertà. In questa prospettiva le condizioni di accesso al lavoro esterno sono le medesime stabilite per ogni misura alternativa anche in punto di preclusioni. Al di là infatti dell’espressa menzione nel corpo dell’articolo 4-bis, e di converso nell’art.58-ter in tema di collaborazione, all’art.21 rinviano le ulteriori disposizioni di cui all’art.58-quater in tema di divieto di concessione (per es. per il caso di evasione o di sopravvenuta condanna per delitto doloso).
La autonoma disciplina del lavoro di pubblica utilità, da svolgere sia all’interno che all’esterno, sta a indicare che l’istituto si inserisce nell’ambito delle modalità del trattamento penitenziario, rivolte all’intera platea dei detenuti e fatte salve le esigenze di sicurezza.
L’assunto trova vieppiù conferma nel tenore dei pareri espressi, nella parte in cui impongono un espresso richiamo all’art.15: «I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'articolo 15», norma questa che menziona appunto gli elementi del trattamento tra cui l’istruzione e il lavoro. D’altra parte negli stessi pareri si esclude ogni autonomo rilievo del lavoro di pubblica utilità ai fini della liberazione anticipata (art.54, vedi condizioni c) e 3), a significare ulteriormente che l’eventuale svolgimento del lavoro di pubblica utilità, quali che siano le modalità di svolgimento, verrà valutato quale “prova di partecipazione all’opera di rieducazione” (art.54 cit.) e dunque di adesione al trattamento penitenziario da parte del condannato. Se così è l’art.20-ter come introdotto dallo schema di decreto già esclude i detenuti per delitti mafiosi dalla possibilità di svolgere il lavoro di pubblica utilità in luoghi esterni all’istituto e, per preservare quelle medesime esigenze di sicurezza del tutto verosimilmente poste a base del parere, si è inteso ritagliare un’area, per i condannati per delitti di cui all’art.4-bis, di più penetrante controllo da parte del magistrato di sorveglianza all’atto della valutazione sull’eventuale assegnazione del lavoro di pubblica utilità ove svolto all’esterno. In particolare il magistrato dovrà tenere prioritariamente conto delle esigenze di prevenzione del pericolo di commissione di reati ulteriori, della natura del reato commesso, della condotta tenuta e del rapporto significativo tra pena espiata e pena residua. In questo senso si è inteso sostanzialmente aderire alla condizione posta.
Non appare infatti praticabile l’opzione suggerita che riconduce tout court il lavoro di pubblica utilità, solo ove svolto all’esterno, a una misura alternativa alla detenzione.   L’intervento in tema di lavoro di pubblica utilità trae infatti la sua fonte nella disposizione di cui alla lettera h) della norma di delega: “previsione di una maggiore valorizzazione del volontariato sia all'interno del carcere, sia in collaborazione con gli uffici dell'esecuzione penale esterna”. Il lavoro di pubblica utilità costituisce una tipica forma di attività di volontariato e l’esclusione per l’accesso a tale opportunità di lavoro volontario ove svolto all’esterno è precluso ai condannati per delitti in senso lato mafiosi, in aderenza al principio di per cui resta fermo “quanto previsto dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nell'esercizio della delega di cui al comma 82”. Prevedere ulteriori preclusioni nello svolgimento di una tipica attività di trattamento penitenziario collegate a condanne per delitti ulteriori e diversi è opzione non praticabile, pena l’eccesso di delega. Come chiarito, peraltro, la pedissequa adesione alla condizione si risolverebbe nell’introduzione di una sorta beneficio penitenziario ulteriore, rispetto al quale verrebbero dettate ex novo condizioni ostative per talune categorie di condannati.

Ancora, si incide sull’articolo 21 ord. pen. con due modifiche. Al comma 4-bis si precisa che il richiamo all’articolo 20 non è al comma sedicesimo ma al comma 13, ove si prevede la possibilità di stipulare apposite convenzioni di inserimento lavorativo con soggetti pubblici o privati. Si elimina poi, dal comma 4-ter, il primo periodo, ove si disciplina la prestazione di attività a titolo volontario e gratuito, ora oggetto di un’ampia e articolata regolazione all’articolo 20-bis.

La modifica apportata all’articolo 22 ord. pen. semplifica la determinazione della remunerazione spettante ai detenuti e agli internati che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, evitando, in particolare, che i ritardi della commissione prevista allo stesso articolo possano determinare inadempimenti parziali all’obbligo retributivo che grava sull’amministrazione penitenziaria. Preso atto del fatto che, sia per ragioni di minor produttività che di penuria di risorse, il trattamento retributivo dei lavoratori detenuti o internati è commisurato ai 2/3 di quello previsto dai contratti collettivi di lavoro e tenuto conto che la Corte costituzionale ha concluso per la conformità alla Costituzione di tale commisurazione, si ribadisce che l’entità della retribuzione dovuta ai lavoratori detenuti o internati sia, appunto, pari ai 2/3 di quella prevista dai contratti collettivi per i lavoratori liberi. Si è preferito sostituire il termine «mercedi» con il termine «remunerazione», anziché con il termine «retribuzione», per non ingenerare l’equivoco che la disposizione si riferisca anche alla retribuzione dei detenuti e degli internati che lavorano alle dipendenze di terzi, datori di lavoro pubblici o privati.
Viene, dunque, meno la necessità dell’apposito intervento della Commissione. Alla modifica del primo comma consegue il venir meno del secondo comma. Il mantenimento della Commissione non si giustifica neanche per lo svolgimento delle funzioni di cui al terzo e al quarto comma. A seguito della legge n. 92 del 2012 l’indennità dovuta ai tirocinanti è determinata dalla legge e da un’apposita intesa in Conferenza Stato-Regioni, sicché la funzione di cui al terzo comma non ha più ragion d’essere.
Il venir meno, poi, dell’obbligo lavorativo, conseguente alla soppressione del terzo comma del vigente articolo 20, determina la sostanziale inutilità del quarto comma, che a quell’obbligo si collega.

La modifica apportata all’articolo 25-bis ord. pen., comma 1, deve essere letta unitamente all’intervento che si opera sul decreto legislativo n. 444 del 1992, articolo 6, finalizzato ad «aggiornare» dette disposizioni, tenuto conto che per effetto dei decreti legislativi n. 149 e 150 del 2015, da un canto, l’articolazione periferica del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è passata in capo all’Ispettorato nazionale del lavoro (d.lgs. n. 149 del 2015) e, dall’altro, che le competenze in materia di politiche attive del lavoro sono transitate da MLPS ad ANPAL (d.lgs. n. 150 del 2015). ANPAL ha, tra l’altro, la funzione di promuovere e coordinare, in raccordo con l'Agenzia per la coesione territoriale, i programmi cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo, nonché i programmi cofinanziati con fondi nazionali negli ambiti di intervento del Fondo Sociale Europeo, di gestire i programmi operativi nazionali nelle materie di competenza, nonché i progetti cofinanziati dai Fondi comunitari e di svolgere le attività già in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali in materia di promozione e coordinamento dei programmi formativi destinati alle persone disoccupate, ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale, dell'autoimpiego e dell'immediato inserimento lavorativo.

Si aggiunge l’articolo 25-ter ord. pen., dalla rubrica “assistenza per l’accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali”, finalizzato a garantire che in tutti gli istituti penitenziari i detenuti e gli internati abbiano la possibilità di ricevere le informazioni sui trattamenti assistenziali e previdenziali cui possono accedere (assegni per il nucleo familiare, trattamenti di disoccupazione, trattamenti di sostegno al reddito, ecc.) e provvedere ai necessari adempimenti (domande, comunicazioni, ecc.), oltre che a fruire, nei limiti in cui ciò è compatibile con lo stato di detenzione o internamento, dei servizi di politica attiva di cui fruiscono gli aspiranti lavoratori liberi. Tali servizi possono essere garantiti attraverso apposite convenzioni non onerose con enti pubblici e soggetti privati.

Il comma aggiunto all’articolo 46 ord. pen., che tratta dell’assistenza post-penitenziaria, estende l’ambito di applicazione dell’assegno di ricollocazione (che, di recente, il decreto legislativo per il contrasto alla povertà ha stabilito spetti anche ai soggetti in condizioni di povertà tali da poter accedere al REI, il «reddito di inclusione»), consentendone il godimento anche ai detenuti e agli internati dopo la dimissione, ossia al momento della scarcerazione in ragione dell’avvenuta espiazione della pena. Costoro versano, di norma, in una condizione di maggiore fragilità ed esposizione, ed un aiuto particolarmente qualificato al reperimento di un’occupazione può essere assai rilevante ai fini del reinserimento sociale. La misura è destinata ai detenuti ed internati dimessi per espiazione della pena, con esclusione dei detenuti scarcerati in quanto avviati verso percorsi di espiazioni extramuraria.
È appena il caso di ricordare che l’assegno di ricollocazione è una misura di politica attiva a favore dei disoccupati percettori di indennità di disoccupazione (NASpI) da almeno 4 mesi, che consente di ottenere un servizio di assistenza intensiva alla ricollocazione, a cura dei centri per l’impiego o dei soggetti privati accreditati ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 150 del 2015 (agenzie di intermediazione, agenzie di somministrazione, ecc.). Il costo del servizio di ricollocazione è a carico della finanza pubblica e viene sostenuto solo in caso di buon esito; altrimenti il centro per l’impiego o il soggetto privato accreditato hanno diritto solo ad una sorta di rimborso spese forfetario. L’assegno di ricollocazione viene erogato solo fino a concorrenza delle risorse disponibili (attualmente, nell’ambito della sperimentazione in corso circa 32 milioni di euro a valere sul Fondo per le politiche attive del lavoro).

In adesione alle condizioni poste dalle competenti Commissioni parlamentari si è eliminata ogni modificazione volta a determinare un autonomo computo del periodo di lavoro di pubblica utilità svolto ai fini della liberazione anticipata. Si deve ritenere che lo svolgimento di attività lavorativa di pubblica utilità potrà essere valutata quale positiva adesione al trattamento ai medesimi fini.

Altra modifica attiene al decreto legge n. 510 del 1996, convertito dalla legge n. 608 del 1996, articolo 9-bis, al fine di apportare alcune precisazioni in ordine alle c.d. comunicazioni obbligatorie, in particolare che, anche nel caso di assunzione, proroga, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro con i detenuti e gli internati che prestano la loro attività all’interno degli istituti penitenziari, i datori di lavoro privati e l’amministrazione penitenziaria sono tenuti ad effettuare le relative «comunicazioni obbligatorie» (che contengono, per i privati, i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato; e per le pubbliche amministrazioni, l’assunzione, la proroga, la trasformazione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al mese precedente. Tali comunicazioni sono dovute anche per i tirocini di formazione e di orientamento e ad ogni altro tipo di esperienza lavorativa ad essi assimilata). Esse confluiscono nell’archivio informatizzato oggi gestito da ANPAL nell’ambito del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro. Ciò consentirà di avere dati più precisi circa il numero di detenuti ed internati occupati all’interno degli istituti penitenziari e in ordine al tipo ed al contenuto dei rapporti di lavoro (tipologia contrattuale impiegata, attività lavorativa svolta, durata dei rapporti, ecc.), a fini statistici e progettuali.

L’articolo 3 contiene disposizioni relative all’efficacia differita delle modifiche recate agli articoli 6 e 8 o.p., relativamente alle aree comuni e alla dotazione di servizi igienici, all’interno degli istituti. Come sopra già rilevato, si è inteso dare risposta al parere delle Commissioni competenti che, per ragioni essenzialmente di ordine finanziario e di materiale praticabilità ha proposto l’espunzione delle previsioni in esame. Di contro, a fronte delle esigenze prospettate, per consentire gli opportuni interventi di edilizia penitenziaria, dette disposizioni acquisteranno efficacia a far data dal 31 dicembre 2021.

L’articolo 4 contiene le disposizioni di carattere finanziario. È stato precisato, in adesione alla condizione posta dalla competente Commissione Bilancio della Camera dei Deputati che “a regime” gli oneri finanziari sono determinati “in euro 3.530.000 annui” a decorrere dall’anno 2021. Non si è ritenuto invece di adeguare il tenore delle disposizioni finanziarie in esame all’osservazione resa dalla Commissione 5a del Senato della Repubblica, tenuto conto che si tratta di autorizzazioni di spesa in gran parte riferibili a interventi strutturali, senza incidenza su diritti individuali.