Schema di D.lgs. - Disposizioni di attuazione del principio della riserva di codice nella materia penale - Relazione

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 8 febbraio 2018

Schema di decreto legislativo recante: Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”

Articolato

 

Lo schema di decreto legislativo attua la delega contenuta nella legge 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, con specifico riferimento al comma 85, lettera q), dell’articolo 1.

In particolare, il Governo - proprio secondo i princìpi e criteri direttivi previsti dal citato comma 85 - è delegato alla riforma dell’ordinamento penitenziario.

In tale ambito, tra i criteri direttivi, la lettera q) del comma 85 contempla l’“attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il princìpio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell’integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato”.

Lo schema di decreto si avvale dei risultati del lavoro della Commissione, presieduta dal dott. Gennaro Marasca, istituita con decreto del Ministro della giustizia del 3 maggio 2016, e composta da magistrati e professori universitari, espressamente per l’elaborazione di una proposta attuativa della delega di recepimento del principio della cd. “tendenziale riserva di codice in materia penale”.

Il progetto prevede un “riordino” della materia penale, “ferme restando le scelte incriminatrici già operate dal Legislatore”, così da preservare la centralità del codice penale secondo la gerarchia di interessi che la Costituzione delinea.

In questo senso deve essere letta la delega nella parte in cui discorre di “inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore”: tale dizione sembra, pertanto, escludere che l’attività delegata possa consistere in modifiche alle fattispecie criminose vigenti, contenute in contesti diversi dal codice penale.

L’intento del legislatore delegante risulta essere, infatti, quello di razionalizzare e rendere, quindi, maggiormente conoscibile e comprensibile la normativa penale e di porre un freno alla eccessiva, caotica e non sempre facilmente intellegibile produzione legislativa di settore.

Sotto questo profilo, dunque, non sarebbe consentita un’opera di razionalizzazione che passasse attraverso la revisione generale della parte speciale del codice penale e della legislazione complementare.

La delega non contempla un intervento di tale ampia portata, mirando ad attuare il principio della riserva di codice – presupposto per una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni da parte dei destinatari – senza dimenticare che l’inserimento del precetto penale in un contesto di disposizioni omogenee per settore, spesso anche di minuziosa regolazione di fenomeni e ambiti molto specifici, esprime un bisogno di razionalità legislativa, il cui soddisfacimento crea le premesse per riservare al codice penale la tutela soltanto dei beni e interessi di rilevanza costituzionale, nella prospettiva di un diritto penale minimo o essenziale.

Da qui l’enunciazione di una norma di principio che riserva al codice un ruolo propulsivo di un processo virtuoso che ponga freno alla proliferazione della legislazione penale, rimettendo al centro del sistema il codice penale e ponendo le basi per una futura riduzione dell’area dell’intervento punitivo, secondo un ragionevole rapporto fra rilievo del bene tutelato e sanzione penale.

D’altra parte, appare essere certamente vero che una disposizione sulla riserva di codice inserita nel codice penale e non nella Costituzione costituisce un argine alquanto labile all’espansione poco meditata del diritto penale, trattandosi di norma ordinaria e non di rango costituzionale; ma è pur vero che, inserita nella parte generale del codice penale, si eleva a principio generale di cui il futuro legislatore dovrà necessariamente tenere conto, spiegando le ragioni del suo eventuale mancato rispetto.
Si costruisce in tal modo una norma di indirizzo, di sicuro rilievo, in grado di incidere sulla produzione legislativa futura in materia penale.

In questo senso va letto l’articolo 1 dello schema di decreto che introduce l’articolo 3-bis nel codice penale: “Nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia”.

Sul piano generale, va evidenziato che non si interviene, operando una trasposizione dalla legge speciale al codice penale della relativa fattispecie incriminatrice, nei casi in cui sussista una forte interrelazione dei singoli precetti penali con la disciplina di base che già li contiene.

È infatti sconsigliabile esportare precetti penali dal corpo originario che li contiene, quando già organico o di tipo anch’esso codicistico: per esempio, le disposizioni penali in materia di sicurezza nella circolazione stradale, anche se comunque preposte alla tutela della vita e dell’incolumità personale.

Analogamente per il settore degli infortuni sul lavoro (da intendere in senso ampio, e dunque comprensivo anche delle malattie professionali), la specificità della materia è sottolineata dalla presenza nel testo unico n. 81 del 2008 di disposizioni di parte generale, come quelle sulla delega di funzioni o sui meccanismi estintivi del reato: ciò ha indotto a ritenere che la modifica della attuale collocazione sistematica della relativa disciplina avrebbe potuto compromettere il già consolidato assetto di tutela.
Conclusioni analoghe valgono per la materia della prostituzione, della tutela dell’ambiente, del settore del gioco e delle scommesse nonchè delle armi.

Come anche rilevato dalla Commissione Marasca a tale ultimo riguardo, l’inserimento nel codice penale di norme in materia di armi, per quanto tecnicamente possibile in astratto, si scontra con la varietà e disomogeneità delle definizioni disseminate nelle varie norme.

Una razionalizzazione dell’intero settore sarebbe realizzabile mediante la compilazione di un testo unico intermedio, dedicato alla disciplina amministrativa e penale delle armi: testo unico che tuttavia esula completamente dalla delega soprattutto perché, data la materia di rilevante interesse pubblico, implicherebbe scelte sulle definizioni da privilegiare e sulle norme da espungere.

Si tratta, infatti, di una ampia normativa in buona parte connotata da fattispecie di pericolo (spesso integranti delle contravvenzioni) poste a tutela di funzioni e non di beni giuridici, che reprimono l’aggiramento o la diretta violazione delle disposizioni amministrative che regolamentano il rilascio di autorizzazioni o i controlli. Nella quasi integralità si è in presenza di norme meramente sanzionatorie che rinviano, per l’identificazione del precetto ad assai complesse e articolate disposizioni amministrative, talché il loro “trasferimento” comporterebbe o l’estrapolazione delle sole norme formalmente incriminatrici (con la necessità di elaborare una serie di rinvii alla normativa speciale che contrasta con gli intenti di semplificazione della legge delega e comunque poco coerenti con la struttura tradizionale delle norme codicistiche) o l’inglobamento nel codice di interi e prolissi testi normativi: operazione di per sé complessa ed evidentemente poco funzionale nonché tale da richiedere sostanzialmente di dedicare un inedito Libro IV alla materia.      

Peraltro, sotto il profilo sistematico, una eventuale introduzione delle norme comunque individuate come astrattamente collocabili all’interno del codice penale non risponderebbe alle esigenze poste a fondamento della delega, perché comunque una parte rilevante della disciplina di settore concernente i materiali d’armamento, le armi chimiche, le mine antiuomo ecc. rimarrebbe all’interno di testi normativi “chiusi” ed autosufficienti, i  quali – come anzi detto - potrebbero più opportunamente essere raccolti in un testo unico.     

Ciò posto, nell’illustrare il contenuto dello schema di decreto legislativo in oggetto, si dà conto delle scelte di trasposizione nel codice o di non intervento in riferimento a fattispecie penali che pure incidono sui beni costituzionali elencati nella disposizione di delega.

Lo schema di decreto si compone di 8 articoli.

All’articolo 1 si introduce l’articolo 3-bis nel codice penale intitolato al “principio della riserva di codice”.

L’articolo 2 reca le modifiche al codice penale in materia di tutela della persona.

In tale ambito la Commissione Marasca ha avuto modo di osservare come «la ricognizione degli ambiti normativi riconducibili con maggior sicurezza al novero delle offese contro la persona ed i beni ad essa facenti capo ha vieppiù confermato la sensazione che in questo settore la legislazione» possa giovarsi di un’opera di chiarificazione.

Ha poi proseguito osservando che «il divieto di toccare i confini delle incriminazioni vigenti, contenuto nella delega, preclude … interventi manipolativi» che pure potrebbero in alcuni casi favorire esiti applicativi univoci. Di conseguenza, le operazioni realizzabili mediante mera asportazione “chirurgica” di fattispecie dal corpo originario e relativo inserimento all'interno del codice penale, sono risultate esigue dal punto di vista numerico».

Si è, quindi, intervenuti in materia di sequestro di persona a scopo di coazione, che realizza una significativa limitazione personale e compressione della libertà di auto-determinazione del singolo individuo.

Sempre nell’ambito della tutela della persona, si è inteso esercitare la delega prevedendo espressamente, mediante una interpolazione dell’articolo 388 del codice penale, la violazione dell’ordine di protezione di cui all’articolo 342-ter del codice civile.

Si è, pertanto, riprodotto l’articolo 6 (Sanzione penale) della legge n. 154 del 2001 che dispone che: «Chiunque elude l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è punito con la pena stabilita dall'articolo 388, primo comma, del codice penale. Si applica altresì l'ultimo comma del medesimo articolo 388 del codice penale».

La disposizione, che contempla una sanzione per la violazione di misure previste nel codice civile essenzialmente a tutela delle donne e dei bambini vittime di violenza, ben si presta ad essere collocata nel codice penale, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista della ratio di tutela.

Analogamente, con funzione di salvaguardia degli soggetti più deboli, si pone l’intervento sull’articolo 570-bis c.p. di nuova introduzione  che assorbe le previsioni di cui all’articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), a mente del quale: «Al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'articolo 570 del codice penale», e di cui all’articolo 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli), che a sua volta recita: «In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l'articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898». La modifica, da un lato, non incide sul regime di procedibilità di ufficio, la cui corrispondenza a Costituzione è stata comunque ripetutamente affermata dalla Corte costituzionale (da ultimo con sentenza n.220 del 2015), dall’altro, contempla le ipotesi (già previste mediante rinvio agli articoli 5 e 6 della stessa legge) di scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullità del matrimonio oltre che quella dell’assegno dovuto ai figli nelle medesime evenienze.  

Si è, poi, reputato di attrarre nel codice penale la materia del “doping”, nonostante l’evidente intreccio con la disciplina extrapenale di cui alla legge n. 376 del 2000, sull’assunto che il bene tutelato è essenzialmente quello della salute individuale. La collocazione all’interno del codice penale, tra i delitti contro la persona e specificamente a seguire dell’articolo 586 c.p., ha il chiaro significato di una presa di posizione a favore della salvaguardia della integrità fisica del singolo piuttosto che della tutela del fair play sportivo, attribuibile all’incriminazione in esame.

Ai fini dell’inserimento nel codice penale, la norma è stata tuttavia modificata rendendo per esteso l’acronimo “CONI”, contenuto nella legge speciale, contestualmente oggetto della specifica abrogazione, e i rinvii alla legge n. 376 del 2000 sono stati sostituiti con un riferimento generico alla normativa vigente.

Si è inteso, poi, trasferire nel codice penale anche le uniche disposizioni che presentano una “struttura chiusa”, e che quindi mostrano affinità di tecnica descrittiva, vale a dire gli articoli 17 e 18 della legge n. 194 del 1978, che puniscono l’interruzione di gravidanza non consensuale, nelle forme colposa (il primo) e dolosa nonché preterintenzionale (il secondo). Tale operazione risulta essere altresì preordinata a rafforzare la salvaguardia di soggetti deboli, quando vi sia un’offesa alla donna, e in particolare alla sua integrità fisica e al suo progetto di maternità, nonché al nascituro, prendendo in considerazione un disvalore del tutto eterogeneo rispetto a quello sotteso alle fattispecie criminose di aborto consensuale ma illecito, meritevole invece di rimanere nel corpo della legge speciale.

Per tutte tali fattispecie – connotate dal medesimo disvalore di evento - si è pensato a una collocazione "in blocco" dopo i delitti contro la vita e l’incolumità personale, e dunque in un Capo I-bis del Titolo XII del Libro II del codice penale, rubricato «Dei delitti contro la maternità».

Si è poi inciso sul testo dell’articolo 601 c.p., introducendo nel corpo dello stesso le disposizioni in materia di tratta delle persone contenute nel codice della navigazione, che prevedono un aggravamento della pena per il comandante della nave e la sanzione penale per il componente dell’equipaggio della nave utilizzata a tale illecito scopo.

Parimenti si è ritenuta coerente con l’impianto codicistico anche l’interpolazione normativa relativa a un fenomeno criminale in esponenziale aumento e di grande allarme sociale rappresentato dal traffico di organi umani: vedi la modifica apportata all’articolo 601-bis c.p., recentemente introdotto con la legge 11 dicembre 2016, n. 236.

Meritevole di attrazione nel codice penale è risultata anche essere la disciplina contenuta nell’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in tema di “discriminazione razziale etnica nazionale e religiosa”: articolo recentemente novellato tramite la legge n. 115 del 16 giugno 2016.

È stata, quindi, ritagliata all’interno del Libro II, Titolo XII, Capo III, una Sezione I-bis, da dedicare proprio ai “Delitti contro l’eguaglianza”.
Un intero settore la cui disciplina poteva essere attratta al codice penale è la prostituzione di soggetti adulti (legge 20 febbraio 1958, n. 75, c.d. “Merlin”), in considerazione dell’odiosità di alcune condotte collaterali (prime tra queste, lo sfruttamento), lesive della dignità delle persone coinvolte nonché dei loro (invero soltanto) possibili rapporti, sul piano empirico-criminologico, con i più consistenti fenomeni di riduzione in schiavitù e di tratta di persone oltre che, ovviamente, con le fattispecie di tipo associativo (all’interno delle cui incriminazioni le fenomenologie più gravi in questa materia finiscono, ormai, per essere attratte).

Non si è ritenuto tuttavia di operare modifiche in materia, alla luce delle argomentazioni svolte dalla Commissione Marasca e conseguenti alla tecnica di redazione della legge Merlin sottoposta nel corso del tempo a obiezioni teoriche e pratiche di vario genere, legate essenzialmente:

  • alla descrizione esasperatamente casistica delle fattispecie;
  • alla sostanziale indeterminatezza di molte di esse, che ha dato luogo nel tempo a numerosi problemi interpretativi, non tutti risolti dalla giurisprudenza;
  • all’appiattimento sanzionatorio di ipotesi dotate di disvalore profondamente eterogeneo.

Sarebbe stata, pertanto, poco razionale la traslazione in blocco di tali disposizioni nell’ambito codicistico, senza alcuna opera di riscrittura.

L’articolo 3 contiene modifiche in tema di tutela dell’ambiente.

La delega esclude, lo si ricorda, che contestualmente all’inserimento nel codice penale di singole fattispecie criminose segua una più vasta opera di sistemazione del settore mediante l’introduzione di tutti i reati in materia di inquinamento marino e idrico contemplati nel testo unico sull’ambiente.

Si è, pertanto, proceduto tenendo conto del fatto che la struttura dei reati ambientali e la loro collocazione in corpi normativi unitari e tendenzialmente esaustivi (salvo integrazioni tecniche da parte di fonti secondarie e di autorità amministrative) sconsigliano di scindere le sanzioni penali dai pertinenti precetti amministrativi, in linea con la tradizione legislativa italiana e con un modello ormai assimilato dagli operatori del diritto e dai destinatari delle normative.

I reati ambientali di più frequente applicazione sono già da tempo inseriti in testi unici o leggi “organiche”, quali appendici penalistiche di complesse normative amministrative le quali stabiliscono condizioni e limiti di esercizio di determinate attività (edilizia, di gestione dei rifiuti, venatoria, ecc.).

Le norme penali ambientali, di regola, assumono una funzione meramente sanzionatoria rispetto all’inosservanza di regole amministrative; le une e le altre sono inserite in corpi normativi unitari e tendenzialmente esaustivi della materia incisa dall’intervento legislativo.

I reati ambientali, nella quasi totalità dei casi, sono classificabili secondo tre modelli:

 

  1. esercizio di determinate attività in violazione della sottesa disciplina amministrativa; in particolare, in assenza di valido titolo abilitativo o in difformità dalle prescrizioni ivi contenute, ovvero in assenza di comunicazione alle autorità di controllo delle attività intraprese o da intraprendere;
  2. superamento di valori-soglia predeterminati dalla legge o stabiliti dalle autorità amministrative nell’ambito del proprio potere discrezionale di natura tecnica, entro i limiti fissati dalla stessa legge amministrativa;
  3. mancata collaborazione con le autorità di controllo, nelle forme del diniego all’accesso ai luoghi, della omessa predisposizione di strumenti di monitoraggio e della mancata tenuta o comunicazione di dati.
    Si è, quindi, operato nel senso di mantenere le fattispecie penali contenute nella legislazione speciale nella sede attuale, ogni qual volta - ed è la regola – esse costituiscano l’appendice sanzionatoria di complessi di precetti e procedure analiticamente disciplinate da testi unici o da leggi “organiche”.

Ciò vale all’evidenza anche con riguardo ai reati posti a tutela dell’integrità del territorio e contenuti nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 380 del 2001: si pensi alla contravvenzione di esercizio di attività edificatoria senza permesso di costruire, sanzionata dall’articolo 44 D.P.R. n. 380 del 2001, la quale si comprende solo ponendo mente ai casi e modi di rilascio del titolo a costruire, analiticamente disciplinati in via amministrativa dallo stesso testo normativo.  
Il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (articolo 260 d.lgs. n. 152 del 2006) costituisce tuttavia una eccezione ove si considerino i diversi elementi di fattispecie (“più operazioni e allestimento di mezzi e attività continuative organizzate”; “ingenti quantitativi”; dolo specifico di ingiusto profitto) direttamente e autonomamente descritti dal legislatore penale e risultanti scissi dalla disciplina amministrativa dei rifiuti contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006.
Sul piano processuale (cfr. l’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.), poi, l’articolo 260 del testo unico ambientale è attribuito alla competenza della Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, al pari dei più gravi delitti in materia di criminalità organizzata.
Il nuovo titolo dei delitti contro l’ambiente, d’altra parte, ha parificato a molti effetti tale articolo 260 del testo unico ambientale ai nuovi delitti ambientali, in tema di ravvedimento operoso di cui all’articolo 452-decies c.p.; in tema di confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato; in tema di sanzioni accessorie e ablatorie.
Senza, inoltre, trascurare che il delitto di “traffico organizzato di rifiuti” appare essere omogeneo, sul piano della struttura del fatto tipico, alla nuova fattispecie delittuosa contemplata dall’articolo 452-sexies c.p. (“traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività”).

Da tutte queste considerazioni è derivato l’accoglimento dell’opzione di inserire tale fattispecie incriminatrice all’interno del titolo di recente istituzione nel codice penale dedicato ai reati ambientali.
Non altrettanto si è ritenuto di fare in relazione alla fattispecie di combustione illecita di rifiuti di cui all’articolo 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006.

A questo riguardo, nonostante trattasi di fattispecie delittuosa di carattere doloso, severamente sanzionata, nonché munita di taluni requisiti autenticamente penalistici (“appicca il fuoco”; tiene determinate condotte “in funzione della successiva combustione”), così come di aggravanti che rinviano a criteri penalistici (“attività organizzata” ecc.), si rileva come una serie di riferimenti, per esempio, ai rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato (“abbandono, gestione abusiva e spedizione illecita di rifiuti”) rimandino direttamente o indirettamente alla disciplina generale dei rifiuti contenuta nel medesimo testo unico. L’articolo citato si chiude, poi, con un rinvio a particolari rifiuti che, ove bruciati, non danno luogo a responsabilità penale, ma restano puniti in via amministrativa.

Sul piano tecnico, inoltre, la norma contempla una serie di sanzioni di natura interdittiva, nella parte in cui punisce l’imprenditore responsabile per omesso controllo, direttamente mutuate dalla legge sulla responsabilità degli enti, il cui innesto nel corpo del codice penale è risultato essere scarsamente praticabile e foriero di dubbi interpretativi e di sperequazioni nel trattamento sanzionatorio per analogo titolo di responsabilità.
Da qui, dunque, l’opzione di non intervento, che si accompagna alla scelta di lasciare nella sede propria di delitto di comune pericolo la fattispecie di incendio boschivo, non assimilabile tout court al delitto ambientale.
L’articolo 4 reca modifiche a tutela del sistema finanziario.

Si prevede, in particolare, il trasferimento nel codice penale dell’articolo 55, comma 5, del d.lgs. n. 231 del 2007 che incrimina l'indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento o la loro falsificazione, posta non a tutela del bene del patrimonio, ma dei valori riconducibili all'ambito dell'ordine pubblico, economico e della fede pubblica.

Si è in presenza di una disposizione del tutto estranea al testo normativo di riferimento dedicato alla prevenzione del riciclaggio e, pertanto, adeguatamente inseribile nel codice penale.
Al medesimo articolo 4 è contemplata la trasposizione nel codice penale dell’articolo 12-quinquies del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992 (“Trasferimento fraudolento di valori”). La condotta tipica punita investe l'attribuzione fittizia a terzi della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altra utilità, altrimenti illecitamente acquisiti al fine di eludere le misure di prevenzione ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale.

Come chiarito in giurisprudenza, la condotta non si pone in rapporto di presupposizione necessaria con la più grave ipotesi di cui all'articolo 648-ter cod. pen., idonea ad escludere la punibilità delle condotte di reimpiego, atteso che queste richiedono una derivazione causale materiale da delitto dei beni reinvestiti e non un mero collegamento con ipotesi delittuose, quale quella della interposizione, che tale provenienza postulano.

Il carattere strumentale della fattispecie di trasferimento di valori, la natura derivata dei profitti oggetto di interposizione e la dichiarata caratterizzazione finalistica rispetto all'agevolazione delle condotte di riciclaggio e di reimpiego non consentono di individuare un rapporto di presupposizione giuridica in senso stretto tra il trasferimento fraudolento di valori e le condotte di cui all'articolo 648-ter cod. pen.

Si tratta di fattispecie penale collocata nel Titolo VIII dedicato ai delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio. Con riguardo alla collocazione della norma giova osservare come le attività di riciclaggio e di reinvestimento incidono in misura sensibile sul sistema economico nel suo complesso, con specifico riguardo al settore finanziario, utilizzato dal crimine organizzato per l’allocazione più conveniente delle risorse patrimoniali illecitamente conseguite.

Non si è comunque ritenuto che analogo rilievo sul piano dell’aggressione all’economia assumano le condotte in materia di obblighi di comunicazione patrimoniale dei condannati per mafia o dei sottoposti a misure di prevenzione, che trovano più adeguata collocazione all’interno del codice antimafia.  

In materia di ordine pubblico si è, poi, inteso trasferire nel codice penale le circostanze aggravanti dei delitti commessi avvalendosi delle modalità mafiose ovvero di delitti con finalità di terrorismo.
L’opzione è stata praticabile a condizione che fossero disciplinate contestualmente, e che quindi trovassero analoga collocazione codicistica, le corrispettive circostanze attenuanti per coloro che collaborano con la giustizia.

Le norme sulla dissociazione contenute nel decreto-legge n. 625 del 1979, convertito dalla legge n. 15 del 1980, costituiscono l’antecedente storico delle attenuanti per chi collabori al disvelamento delle associazioni mafiosi. La frequente attuazione delle norme in parola, i consolidati indirizzi giurisprudenziali circa le condizioni per il loro riconoscimento, la circostanza che si tratti di norme che disciplinano il giudizio di bilanciamento regolato dall’articolo 69 c.p., ne favoriscono l’attrazione nell’ambito loro più proprio all’interno dei Capi dedicati rispettivamente al crimine terroristico e mafioso.

Analogamente si è introdotta nel codice penale l’aggravante del reato transnazionale destinata ad operare tutte le volte che un determinato reato, punito con pena superiore a quattro anni di reclusione, sia caratterizzato dal contributo offerto nella fase di organizzazione o nella sua esecuzione da un gruppo criminale operante in più paesi.

Non si è ritenuto di operare una attrazione nel codice penale dei reati in tema di gioco e scommesse, posto che la legge n. 401 del 1989 costituisce un corpo sufficientemente omogeneo dedicato al fenomeno delle competizioni sportive, anche con riguardo alle sue ripercussioni sulla sicurezza, tale da non giustificare un’attività di interpolazione.

Ogni intervento, anche solo repressivo, nel settore avrebbe dovuto comportare una più ampia rimeditazione dei rapporti tra norme contenute in testi legislativi diversi e stratificati nel tempo, cui non è estranea peraltro la legislazione sovranazionale. Non si può tacere, infatti, che il sistema di concessione dell’esercizio delle attività in parola, la cui violazione si poteva inserire nel codice penale, è stato già oggetto dei rilievi della Corte di giustizia, le cui decisioni incidono sulla stessa punibilità, nel senso di escluderla.
Conseguentemente, il mero travaso delle norme senza la possibilità di una revisione della materia, non consentita dalla delega, non si è rivelata essere opportuna.

Analogamente, non si è proceduto all’inclusione nel codice penale delle previsioni, sicuramente attinenti all’ordine pubblico, contenute nella medesima legge n. 401 del 1989. Il riferimento è agli articoli 6-bis, 6-ter, 6-quater della predetta legge che, accanto a condotte delittuose, contemplano circostanze aggravanti di delitti codicistici, contravvenzioni e illeciti amministrativi.

Si tratta, cioè, di un complesso di disposizioni che regolano anche il fenomeno della violenza negli stadi, secondo un disegno sufficientemente unitario. L’introduzione nel codice dei soli delitti in ragione del bene tutelato (ordine pubblico) avrebbe condotto a un’impropria e non giustificabile frammentazione della disciplina, di fatto contraria ai princìpi di conoscibilità dei precetti e semplificazione sottesi alla presente delega.

L’articolo 6 si giustifica, per ragioni di coerenza sistematica, con l’esigenza di dettare una disciplina organica in ambito codicistico delle misure di sicurezza patrimoniali che rappresentano, allo stato, un fondamentale e imprescindibile strumento di contrasto del sempre più dilagante fenomeno dell’accumulo dei patrimoni illeciti che mina gravemente il corretto funzionamento del sistema economico nazionale.

Sono quindi inserite nel codice penale le disposizioni relative alla confisca allargata che presuppone la condanna, o una pronuncia ad essa equiparata, per uno dei delitti puniti dal codice penale elencati dalla medesima norma di nuova introduzione. L’operazione consente di riportare ad unità il catalogo dei reati presupposto per l’applicazione della misura, a seguito della trasposizione nel codice dei delitti di trasferimento fraudolento di beni, di uso illecito di carte di pagamento, di traffico di rifiuti, delitti questi ultimi già presenti nella legislazione speciale e per i quali la confisca è già prevista dall’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.

Le previsioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 6 sono strettamente conseguenti alla scelta in esame, oltre che obbligate per ragioni di ordine sistematico e di coordinamento. Introdotto, infatti, l’art. 240-bis c.p. con lo scopo di dettare la disciplina unitaria della confisca allargata per i delitti puniti dal medesimo codice penale, per quelli relativi agli stupefacenti e al contrabbando le disposizioni sulla confisca in casi particolari (ex articolo 12-sexies) sono state inserite opportunamente nella relativa legge che disciplina in modo organico ed omogeneo l’intera materia. Esse rinviano al medesimo art. 240-bis c.p., cui è affidato il ruolo di norma centrale di regolamentazione, opportunamente segnalata dalla sua collocazione nel codice penale. I delitti in esame, come detto, sono previsti all’interno di testi unici che recano la disciplina della materia, anche per aspetti estranei ad ogni profilo penale, rispettivamente collegati alla salute, alla regolamentazione amministrativa delle autorizzazioni, al sistema del funzionamento degli uffici doganali ecc. Tali circostanze inducono quindi ad escludere l’opportunità di scindere i contenuti penali dai rispettivi corpi normativi di appartenenza. Da qui dunque la scelta conseguente di trasferire al loro interno le residue disposizioni penali in tema di confisca.      

L’articolo 7 contiene l’elenco delle abrogazioni conseguenti alle disposizioni contenute negli articoli precedenti.

L’articolo 8 contempla disposizioni di coordinamento. L’intervenuta abrogazione di più norme, contestualmente inserite nel corpo del codice penale, oggetto di richiamo da parte di ulteriori disposizioni (si pensi a titolo meramente esemplificativo all’art. 3 della legge n. 654 del 1975 il cui ambito di applicazione è esteso ai fatti di propaganda di idee fondate sull’odio religioso del d.l. n.122 del 1993) ha imposto di adottare una norma generale secondo la quale «dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle disposizioni abrogate dall’articolo 7, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale come indicato dalla tabella A allegata al presente decreto». Il rinvio alla tabella, che integra lo schema di decreto, consente di verificare l’immediata corrispondenza delle norme abrogate e in ipotesi richiamate da altre disposizioni di legge a quelle contenute ex novo nel codice penale. L’art. 8 chiarisce che ove vi siano riferimenti all’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 (in tema di confisca) specificamente riguardanti i reati presupposto in materia di droga e contrabbando, essi vanno intesi come richiami ai nuovi art. 85-bis del DPR n. 309 del 1990 e al comma 5-bis dell’art. 301 del DPR n. 43 del 1973, che a loro volta rinviano al nuovo art. 240-bis c.p.

L’articolo 9 contempla la clausola di invarianza finanziaria.

Sono state accolte le condizioni poste nel parere della II Commissione della Camera dei deputati.
In particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a), capoverso ART. 289-ter, è soppresso il quarto comma (condizione n.1). La riproduzione del contenuto dell'articolo 4 della legge n. 718 del 1985 come osservato «delinea, infatti, una disciplina speciale, e più restrittiva, in materia di giurisdizione, dal tenore non del tutto chiaro. In particolare, la norma in questione pur essendo restrittiva rispetto alle regole generali in materia di giurisdizione, al contempo fa espressamente salve, attraverso una clausola di rinvio, le disposizioni contenute negli articoli da 6 a 11 del codice penale». Attraverso l’espunzione dal testo della norma in esame al reato in questione si applicherà la disciplina generale prevista dal codice penale.
Il testo dell'articolo 2, comma 1, lettera d), capoverso ART. 586-bis, comma 3, lettera c), è stato emendato espressamente aggiungendo le parole: «dal Comitato olimpico nazionale», al fine di riprodurre testualmente il contenuto della norma in materia di doping (condizione n. 2).

In accoglimento della condizione n. 3) è stato corretto il testo dell’art. 602-ter del codice penale specificando che il richiamo all'articolo 601 si riferisce unicamente alle ipotesi dei primi due commi. La modifica si rende necessaria perché altrimenti l’aggravante ivi prevista sarebbe automaticamente estesa anche ai fatti già puniti dal codice della navigazione nei confronti del comandate della nave, oggetto di trasposizione, con effetto non contemplato dalla normativa già in vigore.  

In accoglimento della condizione n. 4), dopo il novellato art. 604-bis è inserito l’art. 604-ter che riproduce le circostanze aggravanti dell’articolo 3 del decreto-legge n. 122 del 1993, riferibili proprio ai delitti commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oggetto della trasposizione nel codice. Non si è ritenuto prevedere all’interno della disposizione, accanto all’art. 98, il rinvio all’art. 114 c.p., pure sollecitato nel parere analogo della 2a Commissione del Senato (lettera d). Ci si è infatti limitati a riprodurre l’attuale contenuto della norma senza interventi ulteriori, secondo i limiti imposti dalla delega. Se è vero infatti che gli articoli 280, 280-bis, 375, 590-quater, 602-ter del codice penale, come pure l’articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991, escludono nei giudizi di prevalenza o equivalenza delle circostanze anche l’attenuante di cui all'articolo 114 del codice penale, un intervento correttivo in tal senso esorbita il mero coordinamento e presuppone in contrario una scelta di equiparazione, ai fini derogatori considerati dalla norma trasposta nel codice, tra le due attenuanti in parola (minore età e minimo contributo concorsuale). Contestualmente l’art. 604-bis è stato emendato per ragioni di coordinamento a seguito delle modifiche apportate dall’articolo 5 della legge 20 novembre 2017, n. 167 all'articolo 3, comma 3-bis, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, trasposto nel codice penale.

In accoglimento della condizione n. 5) la fattispecie di trasferimento fraudolento di valori è stata opportunamente ricollocata nel Titolo VIII, del codice penale, relativo ai delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, apparendo effettivamente anomala la collocazione tra i delitti contro la fede pubblica del reato che sicuramente come peraltro osservato sopra è posto anche a tutela della trasparenza del mercato.

Con la condizione n. 6) si è richiesto di coordinare all'articolo 6, comma 1, lettera a), il testo del nuovo articolo 240-bis c.p., relativo alla «confisca in casi particolari», con le modifiche introdotte dall'articolo 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161 e con le successive integrazioni necessarie in attuazione dei rilievi del Capo dello Stato all’atto della promulgazione della legge da ultimo citata. Come noto l’art. 12-sexies è stato oggetto di interpolazione ad opera della legge recante modifiche al cd. codice antimafia che per un difetto di coordinamento aveva pretermesso nell’elenco dei reati presupposto per l’applicazione della confisca i fatti più gravi di falso nummario, realizzati in forma associativa, di uso illecito di carte di credito, di acceso illecito a più sistemi informatici, introdotte dall’articolo 5 del decreto legislativo 29 ottobre 2016, n. 202.

All’atto della promulgazione della legge il Presidente della Repubblica aveva rappresentato «l'esigenza di assicurare sollecitamente una stabile conformazione dell'ordinamento interno agli obblighi comunitari in relazione alle previsioni direttamente attuative di direttive europee, a suo tempo recepite nell'ordinamento interno e che non figurano nel nuovo testo» e quindi di «ripristinare, anche a fini di certezza del diritto, nell'art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992 le modifiche che sono state introdotte dal citato decreto legislativo n. 202 del 2016».

L’intervento correttivo è avvenuto con il decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n.172.

Si è quindi intervenuti sul testo dell’art. 240-bis c.p. così come risultante dalle modifiche da ultimo citate.

Pertanto i commi 1 e 2-ter dell’art. 12-sexies trovano collocazione nell’articolo 240-bis c.p., trattandosi delle disposizioni di natura sostanziale sulla confisca cd. allargata anche per equivalente.

La circostanza che l’art. 12-sexies contempli oggi una serie di disposizioni in materia di amministrazione mediante rinvio alle leggi antimafia ha indotto a collocare le stesse all’interno della disposizioni di attuazione del codice di procedura penale che già detta analoghe disposizioni in tema di sequestro e ciò per evidente affinità della materia. Si prevedono così nuovi commi all’art. 104-bis disp. att. c.p.p.. Analogamente si è proceduto con riguardo alle disposizioni che stabiliscono modalità e competenze della confisca in fase esecutiva. A questo riguardo si è quindi operato sulle disposizioni di attuazione dedicate alla fase esecutiva, nuovo art. 183-quater disp. att. c.p.p. Infine, la legge n. 161 del 2017 ha stabilito anche un nuovo principio nel caso di pronuncia in sede di impugnazione di estinzione del reato per prescrizione e amnistia, secondo il modello già previsto dal codice di procedura penale in relazione alle statuizioni sugli interessi civili quando sia pronunciata sentenza di estinzione del reato, pertanto si introduce dopo l’art. 578 c.p.p. l’articolo 578-bis. Si tratta infatti a ben vedere di una norma procedurale che impone al giudice dell’impugnazione la pronuncia ai soli effetti della confisca, in caso di prescrizione del reato o amnistia, quando la stessa sia stata ordinata a seguito di condanna in primo grado. Fa eccezione la confisca per equivalente (l’art.12-sexies specifica infatti “ad eccezione del comma 2-ter”) e quindi il rinvio nell’art. 578-bis al primo comma dell’articolo 240-bis.

Il testo originariamente trasmesso alle Camere presentava all’interno del nuovo art. 240-bis c.p. anche le disposizioni di natura procedimentale e relative all’amministrazione dei beni.
Tali disposizioni in parte sono state abrogate, in parte sono state arricchite, nelle more, dalle modifiche recate all’art.12-sexies dalla citata legge n. 161 del 2017.

Si tratta di una serie di norme incidenti sull’amministrazione dei beni, sui diritti dei terzi anche di partecipazione al processo, sulla confisca disposta per la prima volta in sede esecutiva, sulla possibilità di disporre la speciale confisca a condizioni determinate anche in caso di estinzione del reato.

I pareri delle commissioni richiedono l’adeguamento a tali modifiche sopravvenute.

Al fine indicato di coordinamento si è inteso, quindi, lasciare nel corpo dell’art. 240-bis c.p. le sole norme che stabiliscono le condizioni di applicazione della misura, sia con riguardo all’elenco dei reati presupposto, che con riguardo alla sproporzione reddituale, oltre che alla sua giustificazione sul piano fiscale.

Le ulteriori modifiche incidenti sul procedimento applicativo, come detto, sono state invece più opportunamente trasposte all’interno delle norme di attuazione del codice di procedura penale nelle sedi relative all’amministrazione dei beni e alla fase esecutiva.
Tali norme di nuovo conio richiamano sia le ipotesi di confisca di cui all’art. 240-bis c.p. sia quelle contemplate da altre disposizioni di legge; il riferimento è, allo stato, ai nuovi articoli 85-bis del DPR n. 309 del 1990 e comma 5-bis dell’art. 301 del DPR n. 43 del 1973, che rinviano entrambi all’art. 240-bis c.p., al fine di rendere obbligatoria la confisca allargata per le ipotesi di condanna o applicazione della pena per i delitti indicati dalle richiamate leggi speciali. E dunque troverà applicazione anche la confisca per equivalente oltre che la impossibilità di giustificare la sproporzione reddituale se non alle condizioni stabilite dal primo comma dell’art. 240-bis c.p.

Esse tuttavia non contengono più il richiamo alle disposizioni del codice antimafia; si tratta infatti di rinvio non più attuale, perché le norme di attuazione al codice di procedura penale con riguardo a tutte le ipotesi di confisca in casi particolari rinviano alla disciplina del codice antimafia oltre a regolare ex novo gli aspetti relativi alla tutela dei terzi e alla fase esecutiva.

La 2a Commissione del Senato ha espresso parere favorevole con osservazioni sovrapponibili alle condizioni della II Commissione della Camera. Il riferimento è alle osservazioni b), d), e) e f).

È stata accolta l’osservazione di cui alla lettera c) del parere adeguando il testo del comma settimo del nuovo art. 586-bis c.p. mediante espressa descrizione dei farmaci indicati dalle classi già citate dall'articolo 9, comma 3, della legge n. 376 del 2000.

Non si è inteso, invece, collocare il principio della riserva di codice a chiusura del titolo I del libro I, trattandosi di una disposizione di sistema strettamente collegata al principio di legalità penale (vedi osservazione a) del Senato).

Quanto infine all’osservazione di cui alla lettera g) - “valuti il Governo l'opportunità di inserire nello schema di decreto uno o più articoli aggiuntivi, volti ad introdurre nel codice penale: 1) la disposizione contenuta nell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 - convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 - recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa; 2) la disposizione contenuta nell'articolo 7, comma 4, del decreto-legge n. 419 del 1991, recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive” – occorre rilevare che, con riguardo al n. 1) della lettera g), si tratta di disposizione estranea ai profili di diritto penale sostanziale e dunque al contenuto e ai limiti della delega. Peraltro si tratta di norma incidente sulla liberazione condizionale istituto oggetto di coevo intervento nell’ambito della riforma di ordinamento penitenziario. Quanto alla lettera g) n. 2, si è provveduto a trasporre la norma di cui al comma 4 dell’art. 7 del d.l. n. 419 del 1991 che ha carattere generale di disciplina del giudizio di bilanciamento, per taluni gravi reati (elencati dai numeri da 1)  a 6) dell’art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p.), richiamati nel corpo del codice penale mediante l’introduzione dell’articolo 69-bis c.p., all’art. 5 lettera b) dello schema di decreto, con contestuale abrogazione della disposizione contenuta in legge speciale.

Non è stata accolta, infine, la sollecitazione della Camera di abrogare gli articoli 3 e 4 della legge 26 ottobre 1971, n. 1099, in quanto non appare strettamente consequenziale all’intervento in esame, incidendo peraltro su illeciti amministrativi.