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Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 23 febbraio 2017 - Ricorso n. 64297/12 - Causa D'Alconzo c.Italia

Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione effettuata e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA D’ALCONZO c. ITALIA
(Ricorso n. 64297/12)

SENTENZA
STRASBURGO
23 febbraio 2017

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa D’Alconzo c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

  • Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
  • Ledi Bianku,
  • Guido Raimondi,
  • Kristina Pardalos,
  • Linos-Alexandre Sicilianos,
  • Robert Spano,
  • Armen Harutyunyan, giudici,
  • e da Abel Campos, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 31 gennaio 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 64297/12) presentato contro la Repubblica italiana con cui un cittadino di tale Stato, sig. Giuseppe D’Alconzo («il ricorrente») ha adito la Corte il 15 settembre 2012 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato C. Anastasio, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, Gianluca Mauro Pellegrini.
  3. Il 13 gennaio 2014 i motivi di ricorso relativi all’articolo 8 sono stati comunicati al Governo e il ricorso è stato dichiarato irricevibile per il resto, conformemente all’articolo 54 § 3 del regolamento della Corte.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

  1. Il ricorrente è nato nel 1964 e risiede a Monterosi.
  2. Il ricorrente, pilota di aereo, è padre di due bambini, G.I. e D.A., nati rispettivamente nel 2002 e nel 2004 dalla relazione con la sig.ra C.L.M., cittadina americana.
  3. Il 24 gennaio 2007 l’ex-compagna del ricorrente lasciò l’Italia con i suoi figli e si recò negli Stati Uniti. Il 12 febbraio 2007 il ricorrente si rivolse alle autorità giudiziarie presentando una domanda volta ad ottenere il ritorno dei figli. Nei confronti di C.L.M fu avviato un procedimento per sottrazione internazionale di minori. Il 27 maggio 2007 il tribunale di Phoenix ordinò il ritorno dei minori e questi ultimi rientrarono in Italia con la madre. Risulta dal fascicolo che, successivamente, con sentenza del 23 gennaio 2014, il tribunale di Viterbo ha condannato C.L.M. a undici mesi di reclusione per sottrazione di minori.
  4. Con ordinanza del 30 settembre 2008, il tribunale per i minorenni di Roma («il tribunale») affidò i bambini alla madre e autorizzò il padre a incontrare i figli secondo modalità indicate dai servizi sociali.
  5. Con ordinanza dell’11 novembre 2008, il tribunale confermò l’affidamento dei bambini alla madre e il diritto di visita del padre.
  6. Il ricorrente impugnò l’ordinanza del tribunale dinanzi alla corte d’appello di Roma. Quest’ultima ordinò una perizia volta ad accertare la capacità del ricorrente e di C.L.M. di svolgere il loro ruolo genitoriale.
  7. Il 26 maggio 2009 il perito depositò la sua relazione. Risulta da quest’ultima che entrambi i genitori avevano una buona relazione con i figli, ma esistevano gravi tensioni tra loro.
  8. Con decisione del 9 febbraio 2010 la corte d’appello, tenendo conto delle indicazioni del perito, nonché delle difficoltà legate alla professione del ricorrente, affidò i minori ai servizi sociali con collocamento presso l’abitazione della madre e accordò al ricorrente il diritto di visita per due fine settimana al mese e un pomeriggio a settimana.
  9. Il 7 marzo 2011 il ricorrente denunciò C.L.M. per sottrazione di minori, in quanto quest’ultima si era allontanata dal luogo di residenza con i figli. Lo stesso giorno C.L.M. denunciò il ricorrente per abusi sessuali su D.A. A decorrere da tale data, per un periodo di un anno circa, il ricorrente non incontrò i figli.
  10. Il 10 marzo 2011 il procuratore sottolineò che, a causa dei comportamenti dei genitori, i minori erano esposti a una situazione di stress molto grave e chiese la sospensione provvisoria della potestà genitoriale di entrambi i genitori.
  11. Il 19 aprile 2011 il tribunale accolse la domanda di sospensione della potestà genitoriale di entrambi i genitori e ordinò il collocamento provvisorio dei minori in una struttura dei servizi sociali. Risulta dal fascicolo che, il 3 maggio 2011, il tribunale ha disposto che i minori fossero collocati presso la madre.
  12. Il tribunale dispose una perizia per verificare se D.A. fosse stato effettivamente vittima di abusi sessuali.
  13. Il 20 settembre 2011 il medico consegnò il suo rapporto in cui dichiarò che D.A. non presentava alcun segno di violenza sessuale.
  14. Nel settembre 2011 C.L.M. denunciò nuovamente il ricorrente per abusi sessuale su G.I.
  15. Il 7 ottobre 2011 il tribunale ordinò che fossero organizzati degli incontri tra il ricorrente e i suoi figli in presenza degli assistenti sociali.
  16. Gli incontri si svolsero soltanto a partire dall’11 marzo 2012, cioè cinque mesi dopo.
  17. Tra l’11 marzo e il 20 luglio 2012, il ricorrente ha incontrato i figli dodici volte, sempre in presenza degli assistenti sociali.
  18. Il 30 luglio 2012 i servizi sociali depositarono nella cancelleria del tribunale la relazione riguardante lo svolgimento degli incontri. Dalla relazione risulta che i bambini erano in una situazione di stress, che la madre era di ostacolo al ripristino dei rapporti con il padre e che quest’ultimo aveva difficoltà a gestire il comportamento dei figli. I servizi sociali suggerirono un trattamento psicoterapeutico per i minori.
  19. Nell’ottobre 2012 il procuratore chiese al giudice delle indagini preliminari («il GIP») l’archiviazione delle due denunce presentate nei confronti del ricorrente.
  20. Tra il 20 luglio 2012 e gennaio 2013 il ricorrente non ha mai incontrato i figli. Dal fascicolo risulta che gli incontri non sono stati realizzati a causa del rifiuto dei bambini e della mancata collaborazione di C.L.M.
  21. In data non precisata, il ricorrente denunciò la sua ex-compagna per abusi sessuali sui bambini.
  22. Con decisione del 12 dicembre 2012, il giudice per i minorenni ritenne che fosse necessario adottare misure che permettessero di mantenere la relazione esistente tra i bambini e il padre. Indicò che, sebbene il mantenimento del collocamento dei bambini presso il domicilio della madre non fosse auspicabile in ragione della svalutazione della figura paterna da parte della madre, il loro allontanamento da quest’ultima avrebbe costituito una misura eccessivamente dura per i bambini. Per questi motivi, mantenne il collocamento dei minori presso la madre, ordinò a quest’ultima di attenersi alle decisioni del tribunale e a quelle dei servizi sociali, e autorizzò gli incontri tra il padre e i bambini in presenza degli assistenti sociali. Il tribunale ordinò infine che gli incontri si svolgessero indipendentemente dal consenso dei minori, ritenendo che questi ultimi potessero essere condizionati dal comportamento della madre.
  23. Il ricorrente afferma di aver incontrato i figli quattro o cinque volte tra gennaio e marzo 2013.
  24. A seguito della richiesta del procuratore volta all’archiviazione della denuncia per abusi sessuali, il 19 aprile 2013 il GIP chiese al pubblico ministero di proseguire l’indagine e di formulare il capo d’accusa nei confronti del ricorrente per abusi sessuali.
  25. Il 29 maggio 2013 il ricorrente fu rinviato a giudizio dinanzi al giudice dell’udienza preliminare («il GUP»).
  26. Il 19 novembre 2013 il tribunale per i minorenni incaricò il tutore di organizzare degli incontri tra il ricorrente e i figli data la necessità di rafforzare i loro legami.
  27. Il 30 gennaio 2014 fu emesso il decreto di fissazione dell’udienza preliminare che si doveva tenere il 17 marzo 2014.
  28. Il 5 maggio 2014 il ricorrente fu prosciolto dal capo di accusa di abusi sessuali.
  29. L’11 giugno 2014 il tribunale di Roma respinse la domanda del ricorrente con cui quest’ultimo chiedeva la decadenza della potestà genitoriale di C.L.M., affidò i minori congiuntamente ai genitori, fissò la residenza principale dei minori presso la madre e attribuì al ricorrente un diritto di visita ogni fine settimana.
  30. Il 14 luglio 2014 C.L.M. chiese che gli incontri liberi tra il ricorrente e i bambini fossero subordinati alla partecipazione ad una terapia di coppia. Il ricorrente, dal canto suo, chiese che i figli non fossero affidati a C.L.M., che l’autorità genitoriale di quest’ultima fosse sospesa e che fosse fissato un giorno alla settimana per un progetto volto a un ravvicinamento tra lui e i figli con l’assistenza di un terapeuta.
  31. Con decisione del 23 settembre 2014, la corte d’appello sospese gli incontri liberi del sabato e della domenica e incaricò i servizi sociali di definire un nuovo calendario di incontri (fissando almeno un incontro a settimana in un luogo neutro) che avevano lo scopo di ripristinare, non appena possibile, gli incontri liberi. Prescrisse ai genitori di intraprendere un percorso terapeutico, ove possibile congiunto, per superare l’elevata conflittualità nell’interesse dei minori, altrimenti individuale presso una struttura indicata dai servizi sociali o scelta di comune accordo. Secondo la corte d’appello, occorreva tener conto delle condizioni psicologiche dei bambini, della complessità della situazione familiare, della elevata conflittualità della coppia genitoriale, della lunga interruzione dei rapporti dei figli con il padre e del disagio di questi ultimi.
  32. Il 16 gennaio 2015 fu depositata una relazione dei servizi sociali riguardante lo svolgimento degli incontri. Secondo questa relazione, i bambini erano contrari all’idea di incontrare il ricorrente. Sempre secondo la relazione, G.I. aveva trovato su Internet delle notizie relative alla sua storia, che sarebbero state pubblicate dal ricorrente e poi cancellate dalla polizia, ed era molto arrabbiata contro il padre.
  33. Con decisione del 20 gennaio 2015 la corte d’appello, tenuto conto della relazione dei servizi sociali e della necessità di comprendere i veri motivi per cui i minori mostravano un atteggiamento negativo nei confronti del padre, confermò la decisione del 23 settembre 2014 e chiese ai servizi sociali di agire con urgenza e di accelerare l’avvio del percorso terapeutico previsto nella sua decisione del 23 settembre 2014 (paragrafo 34 supra).
  34. Nel 2015 il ricorrente incontrò G.I. diciassette volte e D.A. quindici volte.
  35. Emerge da una relazione dei servizi sociali dell’8 gennaio 2016 che durante le ultime riunioni di dicembre 2015 D.A. sembrava in regressione e aveva manifestato una grande aggressività nei confronti del ricorrente, mentre G.I. aveva avuto un atteggiamento di apertura nei confronti del padre.
  36. Il 9 maggio 2016 venne depositata una relazione dei servizi sociali. La relazione indicava che il rapporto tra G.I. e il ricorrente era leggermente migliorato, mentre i rapporti con D.A. erano ancora molto tesi a causa delle accuse del minore in merito ad abusi sessuali da parte di suo padre. Secondo la relazione, l’atteggiamento di C.L.M. e del suo compagno volto a demonizzare e a denigrare il ricorrente nuoceva a quest’ultimo. Sempre secondo la relazione, la lealtà dei bambini nei confronti della madre impediva loro di riavvicinarsi al padre. Infine, secondo il rapporto, in quel momento non era possibile prendere in considerazione alcuna possibilità di ravvicinamento tra il ricorrente e D.A.
  37. Con decisione del 7 giugno 2016, la corte d’appello di Roma, basandosi sulle relazioni dei servizi sociali e prendendo in considerazione la complessità della situazione, l’intensità del conflitto tra i genitori e la loro incapacità di fare scelte comuni riguardanti i figli, annullò la sua precedente decisione e affidò i bambini ai servizi sociali fissando la loro residenza principale presso la madre. La corte d’appello intimò alla madre di non sobillare i figli contro il ricorrente. Per quanto riguarda gli incontri, annullò la sua precedente decisione e incaricò i servizi sociali di prevedere un sostegno personalizzato affinché D.A. potesse riallacciare al più presto i contatti con il ricorrente. Quanto agli incontri con G.I., incaricò i servizi sociali di prevedere e organizzare dapprima degli incontri in presenza di una persona dei servizi sociali per arrivare infine a degli incontri liberi.
  38. Il ricorrente afferma di aver incontrato D.A. l’ultima volta il 21 aprile 2016 e G.I. il 22 giugno 2016.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

  1. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Strumia c. Italia (n. 53377/13, §§ 73-78, 23 giugno 2016).

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente sostiene che la durata del procedimento penale sugli abusi sessuali ha compromesso il suo rapporto con i figli. Sostiene, inoltre, che le decisioni dei giudici nazionali, che non avrebbero operato in favore di un ravvicinamento tra lui e i figli, hanno leso il suo diritto al rispetto della vita familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione.
    Questa disposizione è così formulata:
    «1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
  2. Il Governo contesta la tesi del ricorrente.

A.  Sulla ricevibilità

  1. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne argomentando che il ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione contro la decisione della corte d’appello del 9 febbraio 2010 (paragrafo 11 supra) e che non ha impugnato la decisione del tribunale del 7 ottobre 2011 (paragrafo 18 supra) né quella del 12 dicembre 2012 (paragrafo 25 supra). A questo riguardo, il Governo sostiene che il ricorrente avrebbe potuto chiedere il riesame di queste decisioni in base all’articolo 333 del codice civile.
  2. Il ricorrente afferma di aver sempre esaurito le vie di ricorso interne. Indica di aver adito il tribunale per i minorenni e la corte d’appello in diverse occasioni tra il 2007 e il 2016. In particolare, il ricorrente fa riferimento a tutte le decisioni adottate tra il 2007 e giugno 2016.
  3. La Corte rammenta che i provvedimenti del tribunale per i minorenni riguardanti in particolare il diritto di visita non sono definitivi e possono, pertanto, essere modificati in qualsiasi momento in funzione degli eventi legati alla situazione in causa. Perciò, l’evoluzione del procedimento interno è la conseguenza del carattere non definitivo dei provvedimenti del tribunale per i minorenni relativi al diritto di visita. Peraltro, nel caso di specie la Corte osserva che il ricorrente afferma di non essere stato in grado di esercitare pienamente il suo diritto di visita da gennaio 2007 e di aver presentato il ricorso dinanzi ad essa il 2 agosto 2013, dopo aver adito più volte il tribunale per i minorenni che si era pronunciato sul suo diritto. La Corte osserva che il ricorrente aveva a disposizione questa via di ricorso interna per lamentare l’interruzione dei contatti con sua figlia (Strumia c. Italia, n. 53377/13, § 90, 23 giugno 2016, Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, § 46, 17 dicembre 2013).
  4. Tenuto conto di questi elementi, la Corte ritiene che il ricorrente abbia esaurito le vie di ricorso disponibili e che l’eccezione sollevata dal Governo debba essere respinta.
  5. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

  1. Il ricorrente sostiene che, nonostante la condanna di C.L.M. per sottrazione di minori, i giudici hanno deciso di mantenere la residenza principale dei bambini presso di lei e il suo compagno. Aggiunge che il tribunale per i minorenni ha anche autorizzato il compagno di C.L.M. a portare i figli agli incontri organizzati con lui. Precisa che, a seguito della denuncia della ricorrente del 7 marzo 2011 per abusi sessuali, ha potuto incontrare i figli per la prima volta solo il 9 marzo 2012 e, successivamente, il 30 marzo 2012 e il 19 aprile 2012.
  2. Il ricorrente afferma inoltre di aver incontrato i figli per otto ore tra marzo e luglio 2012, e per quarantuno ore tra gennaio 2013 e giugno 2014, il che determinerebbe una media di un’ora e venticinque minuti al mese, durata insufficiente a suo avviso per il mantenimento di una relazione significativa con i figli.
  3. Il ricorrente rimprovera alle autorità di aver lasciato i suoi figli in un ambiente ostile per tre anni, e questo nonostante le perizie che, a suo avviso, avevano messo in luce la sua denigrazione da parte della madre (paragrafo 25 supra), e di non aver adottato alcuna misura per favorire un effettivo ravvicinamento tra lui e i figli.
  4. Secondo il Governo, emerge dalle decisioni dei giudici nazionali, che questi ultimi hanno sempre agito nell’interesse dei minori. Il Governo indica che la decisione di interrompere per alcuni periodi le relazioni tra i bambini e il padre è stata presa a causa della sofferenza psicologica che tali relazioni avrebbero provocato ai bambini. Il Governo precisa che, nel 2013, i bambini hanno incontrato periodicamente il ricorrente alla presenza dei servizi sociali in quanto gli stessi non sarebbero stati pronti per un nuovo tipo di relazione con il padre e aggiunge che ai minori è stato fornito sostegno psicologico.
  5. Quanto alla durata del procedimento penale, il Governo sostiene che questa era normale tenuto conto dell’importanza delle accuse, della complessità della procedura –dovuta soprattutto all’età dei bambini – e al comportamento delle parti. Inoltre, indica che, per tutta la durata del procedimento penale, il ricorrente ha potuto continuare ad incontrare i figli e che le autorità hanno adottato tutte le misure necessarie al fine di proteggere i minori. Secondo il Governo, la durata del procedimento penale non ha avuto alcuna conseguenza negativa, poiché i bambini in ogni caso si sono rifiutati di vedere il ricorrente a causa delle accuse mosse nei suoi confronti.

2.  Valutazione della Corte

  1. La Corte rammenta che, per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita famigliare (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 58, CEDU 2002) e che delle misure interne che lo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’articolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001 VII).
  2. Come la Corte ha più volte ricordato, se l’articolo 8 della Convenzione ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita a imporre allo Stato di astenersi da simili ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o famigliare. Tali obblighi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare che riguardano persino le relazioni fra individui, tra cui la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000 I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). Peraltro, gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di giungere a tale risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70).
    In entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concomitanti dell’individuo e della società nel suo insieme, tenendo conto in ogni caso che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 59 CEDU 2000 IX) e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori (Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 66, CEDU 2003 VIII).
  3. Inoltre, la Corte rammenta che, per essere adeguate, le misure volte a riunire genitore e figlio devono essere attuate rapidamente, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili per le relazioni tra il minore e il genitore che non vive con lui (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, § 102; Maire c. Portogallo, n. 48206/99, § 74, CEDU 2003 VII, Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 175, CEDU 2004 V (estratti), Bianchi c. Svizzera, n. 7548/04, § 85, 22 giugno 2006, e Mincheva c. Bulgaria, n. 21558/03, § 84, 2 settembre 2010). Il fattore tempo assume dunque un’importanza particolare, in quanto ogni ritardo procedurale rischia di fatto di mettere fine alla questione in contestazione (H. c. Regno Unito, sentenza dell’8 luglio 1987, serie A n. 120, pp. 63-64, §§ 89-90; P.F. c. Polonia, n. 2210/12, § 56, 16 settembre 2014).
  4. La Corte rammenta anche che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non porta automaticamente a concludere che lo Stato si è sottratto agli obblighi positivi derivanti per lui dall’articolo 8 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Mihailova, sopra citata, § 82). In effetti, l’obbligo per le autorità nazionali di adottare misure per riunire il figlio e il genitore con cui non convive non è assoluto, e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate costituiscono sempre un fattore importante. Se le autorità nazionali devono sforzarsi di agevolare una simile collaborazione, un obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, in particolare degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004). Come la giurisprudenza della Corte riconosce costantemente, quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo ambito delicato è necessaria la massima prudenza (Mitrova e Savik c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, e Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005) e l’articolo 8 della Convenzione non può autorizzare un genitore a far adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del figlio (Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, §§ 49 50, CEDU 2000 VIII).
  5. La Corte rammenta infine che, se l’articolo 8 non contiene alcuna condizione procedurale esplicita, il processo decisionale legato alle misure di ingerenza deve essere equo e idoneo a rispettare gli interessi protetti da tale disposizione. Pertanto, si deve determinare, in funzione delle circostanze di ogni singolo caso e soprattutto della gravità delle misure da adottare, se i genitori abbiano potuto svolgere nel processo decisionale, considerato nel complesso, un ruolo sufficientemente importante per accordare la protezione richiesta dei loro interessi. In caso negativo, non viene rispettata la loro vita famigliare e l’ingerenza che risulta dalla decisione non può essere considerata «necessaria» ai sensi dell’articolo 8 (W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, § 64, serie A n. 121).
  6. Nella fattispecie, la Corte ritiene che i motivi di ricorso relativi all’articolo 8 della Convenzione debbano essere considerati separatamente e si propone di iniziare il suo esame sotto il profilo dell’elemento procedurale di tale disposizione.

a)  Sui ritardi irragionevoli che si sarebbero verificati nel procedimento penale svoltosi a carico del ricorrente

  1. Il ricorrente lamenta che la durata del procedimento penale ha prolungato la sua separazione dai figli e ha ostacolato la costruzione di una vera relazione.
  2. La Corte osserva anzitutto che il ricorrente era sospettato di avere commesso abusi sessuali sulla persona dei suoi figli, in quanto C.L.M. aveva presentato una denuncia penale in tal senso nel marzo 2011. Perciò, essa ritiene che in attesa dell’esito dell’indagine preliminare, l’interesse dei minori giustificasse la sospensione e la limitazione del diritto genitoriale e del diritto di visita del ricorrente e legittimasse l’ingerenza nel diritto dell’interessato al rispetto della sua vita famigliare. L’ingerenza era dunque, fino all’esito dell’indagine preliminare, «necessaria alla protezione dei diritti altrui», nella fattispecie i diritti dei minori.
  3. Tuttavia questo stesso interesse dei minori richiedeva anche che si permettesse al legame famigliare di svilupparsi nuovamente non appena i provvedimenti adottati fossero sembrati non più necessari (Olsson c. Svezia (n. 2), n. 13441/87, § 90, serie A n. 250).
  4. La Corte rammenta inoltre che essa può anche tenere conto, dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione, della durata del processo decisionale delle autorità nazionali e di qualsiasi altro procedimento giudiziario connesso. In effetti, un ritardo nel procedimento rischia sempre in tal caso di risolvere la controversia con un fatto compiuto. Ora, un rispetto effettivo della vita famigliare impone che le relazioni future tra genitore e figlio si regolino unicamente sulla base di tutti gli elementi pertinenti, e non semplicemente con il passare del tempo (W. c. Regno Unito, sopra citata, §§ 64 e 65, e Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 136, 9 maggio 2003).
  5. Nella fattispecie, la Corte osserva che, nell’ottobre 2012, in seguito al rapporto di perizia del 20 settembre 2011, secondo il quale il minore non presentava alcun segno di violenza (paragrafo 16 supra), la procura del tribunale di Viterbo ha atteso tredici mesi prima di chiedere al GIP l’archiviazione delle denunce penali.
  6. La Corte constata che il GIP ha atteso più di sei mesi prima di pronunciarsi sulla domanda di archiviazione della procura. Per tutto questo tempo, il ricorrente non ha potuto esercitare la minima influenza sull’esito del procedimento e non ha avuto a disposizione alcun ricorso che gli permettesse di far accelerare la procedura. Inoltre, tra la data in cui l’interessato è stato rinviato a giudizio (29 maggio 2013) e la data in cui il GUP ha tenuto l’udienza preliminare (17 marzo 2014) e si è pronunciato sul merito della causa, sono passati quasi dieci mesi.
  7. La Corte non è convinta che fosse necessario un tempo così lungo. Di conseguenza, conclude che vi è stato un ritardo ingiustificato da parte delle autorità nazionali. Inoltre, durante questo periodo, il ricorrente ha avuto un accesso limitato ai suoi figli. In effetti, in seguito alla decisione del tribunale del 12 dicembre 2012 che ordinava alla madre dei minori di dare esecuzione alle decisioni del tribunale e a quelle dei servizi sociali che disponevano che gli incontri avessero luogo anche in caso di reticenza dei minori, sono stati organizzati solo alcuni incontri tra il ricorrente e i suoi figli. Inoltre, l’interessato ha dovuto attendere la decisione di assoluzione per chiedere di essere reintegrato nella sua potestà genitoriale e di poter esercitare un diritto di visita più ampio.
  8. Per la Corte, sono necessarie una diligenza e una rapidità supplementari nell’adozione di una decisione riguardante i diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione. Essa rammenta che la posta in gioco della procedura per il ricorrente esigeva un trattamento urgente, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il figlio e il genitore non convivente. In effetti, l’interruzione del contatto con un figlio molto giovane può comportare un peggioramento della sua relazione con il genitore.
  9. La Corte osserva che, se la limitazione delle relazioni tra il ricorrente e i figli era giustificata fintantoché si fosse concluso il procedimento penale a carico del ricorrente, sono sopravvenuti dei ritardi irragionevoli nel procedimento penale, che hanno avuto un impatto diretto e determinante sul diritto alla vita famigliare dell’interessato. Per le carenze constatate (Errico c. Italia, n. 29768/05, § 61, 24 febbraio 2009) nello svolgimento di questa procedura, la Corte non può dunque considerare che le autorità italiane abbiano adottato tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse al fine di ricostruire la vita famigliare del ricorrente con i suoi figli, nell’interesse di ciascuno di loro.
  10. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione su questo punto.

b)  Sulle misure adottate dalle autorità allo scopo di far rispettare il diritto di visita del ricorrente in seguito alla sua assoluzione

  1. La Corte ritiene che, considerate le circostanze che le sono state sottoposte, il suo compito consista nel verificare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che era ragionevolmente possibile attendersi da loro per mantenere i legami tra il ricorrente e i suoi figli (Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, § 75, 17 novembre 2015) e nell’esaminare il modo in cui le autorità siano intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente come definito dalle decisioni giudiziarie (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299 A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015). Essa rammenta inoltre che, in questo genere di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità della sua attuazione (Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 58, 2 novembre 2010).
  2. La Corte rammenta che, nella presente causa, ha concluso che la durata del procedimento penale a carico del ricorrente è stata eccessiva e che le autorità italiane non hanno adottato tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse al fine di ricostruire la vita famigliare del ricorrente con i suoi figli (paragrafo 69 supra). Inoltre essa rammenta che, in precedenza, il ricorrente era stato separato per molto tempo dai figli nel periodo in cui gli stessi erano stati oggetto di sottrazione da parte di C.L.M. (paragrafo 6 supra) e che, durante l’inchiesta penale, l’assenza di cooperazione da parte di C.L.M. aveva reso difficile lo svolgimento degli incontri. Di conseguenza, al momento dell’assoluzione del ricorrente nel 2014, la relazione tra quest’ultimo e i figli era complessa.
  3. La Corte osserva che, dai recenti sviluppi della procedura, emerge che a partire dall’assoluzione del ricorrente, avvenuta nel maggio 2014, le autorità interne si sono adoperate per permettergli esercitare il suo diritto di visita. In particolare, i servizi sociali hanno organizzato degli incontri secondo le modalità previste, sono state disposte varie perizie psicologiche sui minori e sono stati redatti dei rapporti sullo svolgimento degli incontri. Il ricorrente, tuttavia, ha dovuto affrontare il rifiuto dei figli, in particolare quello di D.A., di vederlo e di allacciare una relazione con lui.
  4. Da maggio 2014, il tribunale e la corte d’appello si sono più volte pronunciate (paragrafi 32, 34, 36 e 40 supra) modificando l’esercizio del diritto di visita del ricorrente sulla base delle perizie realizzate. La Corte ritiene che, trovandosi di fronte alle gravi incomprensioni esistenti tra i due genitori, le autorità abbiano adottato, a partire dal 2014, le misure necessarie per spingere questi ultimi a collaborare e per ristabilire le relazioni tra il ricorrente e i figli. In effetti, sono stati depositati vari rapporti dei servizi sociali; è stato disposto un percorso terapeutico per i genitori, i figli sono stati preparati e accompagnati agli incontri dagli operatori dei servizi sociali, che hanno seguito attentamente gli incontri e hanno informato il tribunale e la corte d’appello.
  5. La Corte riconosce che, nel caso di specie, le autorità si sono trovate ad affrontare una situazione molto difficile, che derivava in particolare dalle gravi incomprensioni reciproche dei genitori e dalle denunce che questi ultimi si sono fatti a vicenda. In effetti, la mancata realizzazione del diritto di visita del ricorrente era imputabile soprattutto all’evidente rifiuto della madre, e poi a quello dei figli, suscitato da quest’ultima. Ciò premesso, essa rammenta che una mancanza di collaborazione tra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto tutti i mezzi che possano permettere il mantenimento del legame famigliare (Nicolò Santilli, sopra citata, § 74, Lombardo, sopra citata, § 91, e Zavřel, sopra citata, § 52). A questo riguardo, la Corte rammenta che spetta allo Stato convenuto scegliere i mezzi che gli permettano di assicurare il rispetto degli obblighi positivi per esso derivanti dall’articolo 8. Nella presente causa, la Corte ha il compito di valutare se i provvedimenti adottati dalle autorità italiane fossero adeguati e sufficienti.
  6. Nel caso di specie, la Corte ritiene che le autorità abbiano adottato le misure appropriate per creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del ricorrente (si vedano, a contrario, Bondavalli, sopra citata § 81, Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, e Piazzi, sopra citata, § 61). Esse hanno adottato provvedimenti finalizzati all’instaurazione di contatti effettivi (si vedano, a contrario, Lombardo, sopra citata, § 92, e Piazzi, sopra citata, § 61) e hanno messo a punto un progetto volto al ravvicinamento del ricorrente ai suoi figli.
  7. Considerati complessivamente tutti gli elementi sopra esposti e il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali, a partire da maggio 2014, abbiano fatto quanto ci si poteva ragionevolmente attendere per garantire il rispetto del diritto di visita del ricorrente, conformemente alle esigenze del diritto al rispetto della vita famigliare garantito dall’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, non vi è stata violazione del diritto alla vita famigliare del ricorrente su questo punto.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno

  1. Il ricorrente chiede la somma di 1.000.000 euro (EUR) per il danno materiale e la somma di 1.000.000 EUR per il danno morale.
  2. Il Governo contesta le richieste del ricorrente e chiede che vengano respinte.
  3. Non vedendo alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto, la Corte rigetta la relativa richiesta. Ritiene invece doversi accordare al ricorrente la somma di 5.000 EUR per il danno morale.

B.  Spese

  1. Il ricorrente chiede anche la somma di 22.894,37 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte più la somma di 800 EUR per spese di traduzione.
  2. Il Governo ritiene che la somma richiesta sia eccessiva e invita la Corte a respingere la domanda.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 7.000 EUR per il procedimento dinanzi ad essa e la accorda al ricorrente.

C.  Interessi moratori

  1. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione a causa dei ritardi irragionevoli che si sono verificati nel procedimento penale svoltosi contro il ricorrente;
  3. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per quanto riguarda le misure adottate dalle autorità allo scopo di far rispettare il diritto di visita del ricorrente;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
      2. 7.000 EUR (settemila euro), più l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 23 febbraio 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Abel Campos
Cancelliere

Mirjana Lazarova Trajkovska
Presidente